“Le associazioni tra carenza di vitamina D e rischio di infezione da SARS-CoV-2 sono state documentate in studi di popolazione trasversali. Gli studi di intervento in pazienti con Covid da moderato a grave non sono riusciti a documentare in modo coerente un effetto benefico”, si legge in uno studio messicano, pubblicato su Science, che ha l’obiettivo di determinare l’efficacia e la sicurezza dell’integrazione di vitamina D nella prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 in individui altamente esposti.
I ricercatori messicani hanno condotto uno studio randomizzato in doppio cieco, in parallelo. Tra il 15 luglio e il 30 dicembre 2020, sono stati arruolati operatori sanitari in prima linea di quattro ospedali di Città del Messico, risultati negativi al test per l’infezione da SARS-CoV-2. I partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a ricevere 4.000 UI di vitamina D o placebo al giorno per 30 giorni.
Secondo i risultati dello studio, dei 321 soggetti reclutati, 94 che avevano ricevuto la vitamina D e 98 che avevano ricevuto il placebo hanno completato il follow-up. Il tasso di infezione da SARS-CoV-2 era inferiore nel gruppo che aveva ricevuto la vitamina D rispetto al gruppo placebo (6,4% contro 24,5%). Il rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 era inferiore nel gruppo vitamina D rispetto al gruppo placebo ed era associato ad un incremento dei livelli sierici di 25-idrossivitamina D3, indipendentemente dalla carenza di vitamina D. Lo studio non ha rivelato eventi avversi significativi.
“I risultati del nostro studio prospettico in doppio cieco, controllato con placebo, dimostrano che l’integrazione di vitamina D è efficace nel prevenire l’infezione da SARS-CoV-2 nel personale sanitario in prima linea ad alto rischio. Inoltre, l’effetto protettivo dell’integrazione di vitamina D era indipendente dalle concentrazioni sieriche basali di 25-idrossivitamina D3. Abbiamo quindi confermato ed esteso i risultati di precedenti studi trasversali e di intervento in base ai quali è stato riscontrato che la sufficienza vitaminica è associata a migliori esiti del Covid, incluso una minore necessità di ricovero in terapia intensiva e tasso di mortalità. A nostra conoscenza, questo è il primo studio controllato che valuta il ruolo dell’integrazione di vitamina D come misura profilattica per prevenire l’infezione da SARS-Cov-2 e quindi ha profonde implicazioni cliniche e di salute pubblica”, scrivono i ricercatori.
“In generale, la carenza di vitamina D è associata ad un aumento del rischio di varie malattie autoimmuni e infettive. Pertanto, la vitamina D potenzialmente interferisce con alcuni dei percorsi utilizzati da SARS-CoV-2 per entrare e replicarsi nell’epitelio bronchiale. È noto che la vitamina D inibisce l’espressione della renina e l’enzima di conversione dell’angiotensina. Favorisce anche uno stato immunitario antinfiammatorio rispetto a uno stato immunitario proinfiammatorio, prevenendo potenzialmente la progressione verso forme più gravi della malattia e promuove un ambiente antiossidante nei polmoni compromettendo la capacità di replicazione del virus, che può comportare una riduzione della carica virale. Pertanto, le considerazioni fisiopatologiche di cui sopra relative alla relazione tra vitamina D e SARS-Cov-2 sono in linea con i nostri risultati”, spiegano i ricercatori.
“L’integrazione di vitamina D è stata ugualmente efficace nel prevenire l’infezione da SARS-Cov-2 negli operatori sanitari ad alto rischio, indipendentemente dalle concentrazioni basali di 25-idrossivitamina D3. I nostri risultati mostrano che l’effetto protettivo della vitamina D è stato ottenuto con una dose media (4.000 UI/die), durante un breve periodo di tempo (un mese) e con solo un lieve aumento della concentrazione di vitamina (8,8 ng/mL), il che suggerisce che l’assunzione di vitamina D svolge un ruolo nella prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 nei periodi di esposizione elevata, anche se non viene raggiunto lo stato di vitamina D adeguato. Tuttavia, questi risultati evidenziano la necessità di ulteriori studi per identificare la dose appropriata richiesta per fornire l’effetto protettivo ottimale”, si legge nello studio.
“I risultati del nostro studio indicano che la vitamina D protegge dall’infezione da SARS-CoV-2 in individui altamente esposti, indipendentemente dallo stato della vitamina D e con relativamente pochi effetti collaterali”, concludono i ricercatori.