È stata annunciata la scoperta di un sistema planetario non comune attorno alla stella TOI-500, composto da quattro pianeti di piccola massa, uno dei quali con periodo inferiore a un giorno, il cui processo di migrazione ed evoluzione può essere spiegato con uno scenario non violento. Fino ad oggi non era mai stato dimostrato che tale scenario potesse giustificare l’esistenza e l’architettura di sistemi planetari così peculiari, riporta un comunicato stampa dell’Università di Torino. La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Astronomy con il titolo “A low-eccentricity migration pathway for a 13-h-period Earth analogue in a four-planet system”, è stata guidata da Luisa Maria Serrano e Davide Gandolfi del Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino e ha coinvolto un team internazionale di ricercatori europei, giapponesi, americani e cileni, di cui fanno anche parte Elisa Goffo ed Enrico Bellomo dello stesso Dipartimento.
Il pianeta più vicino alla stella, battezzato TOI-500b, è un cosiddetto Ultra-Short Period (USP) planet, in quanto il suo periodo orbitale è di appena 13 ore. È inoltre considerato un Earth analogue, ovvero un pianeta roccioso simile alla Terra, perché ha raggio, massa e densità confrontabili con quelli del nostro pianeta. “Tuttavia la sua vicinanza alla stella lo rende così caldo (circa 1350 °C) che la sua superficie è molto probabilmente un’immensa distesa di lava”, afferma Enrico Bellomo.
TOI-500b è stato inizialmente identificato dal telescopio spaziale della NASA TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite) che ricerca pianeti extrasolari utilizzando il metodo dei transiti. Questo metodo permette di identificare i pianeti che periodicamente occultano la loro stella, causando una diminuzione della luce che riceviamo. Il pianeta è stato successivamente confermato grazie ad un’intensa campagna osservativa condotta da UniTo con lo spettrografo HARPS dell’Osservatorio Europeo Australe (ESO), nell’ambito del programma osservativo del Prof. Davide Gandolfi. I dati coprono un intero anno e la loro analisi, congiunta a quella dei dati TESS, ha consentito di misurare la massa, il raggio, e i parametri orbitali del pianeta interno. “Le stesse misure HARPS hanno anche permesso di scoprire 3 pianeti aggiuntivi, con periodi orbitali di 6.6, 26.2 e 61.3 giorni. TOI-500 è un sistema planetario straordinario per capire l’evoluzione dinamica dei pianeti”, dichiara il Prof. Gandolfi.
In aggiunta alla scoperta del sistema, la novità presentata dall’articolo appena pubblicato risiede nel processo di migrazione che avrebbe portato il sistema planetario alla configurazione attuale. “La comunità scientifica è unanimemente d’accordo che un pianeta come TOI-500b non si possa essere formato nella sua posizione attuale, ma che debba essersi originato in una zona più esterna del disco protoplanetario, per poi migrare molto più vicino alla sua stella”, afferma Elisa Goffo. Sul processo di migrazione c’è attualmente ancora molto dibattito, ma è opinione comune che solitamente avvenga in maniera violenta, un processo che comporta anche “urti” tra pianeti i quali, partendo da orbite non circolari e inclinate tra loro, migrano verso orbite più piccole sempre più circolari e coplanari.
Nell’articolo invece gli autori presentano delle simulazioni con cui dimostrano che i pianeti attorno a TOI-500 possono essersi formati su orbite quasi circolari, per poi migrare seguendo un processo cosiddetto secolare e quasi statico durato circa 2 miliardi di anni. “Si tratta di un modello di migrazione quieto in cui i pianeti, non urtandosi tra loro, si muovono lungo orbite che rimangono pressoché circolari e che sono via via sempre più piccole”, spiega la Dottoressa Serrano.
L’articolo dimostra l’importanza di associare alla scoperta di sistemi che ospitano pianeti di tipo USP simulazioni numeriche per testare i possibili processi migratori che possano averli portati alla configurazione corrente. “Acquisire dati per lunghi periodi di tempo permette di studiare l’architettura interna di sistemi analoghi a TOI-500 e di capire come i pianeti si siano assestati sulle loro orbite”, concludono Luisa Maria Serrano e Davide Gandolfi.