La guerra in Ucraina sta avendo un impatto spaventoso sulla popolazione ma anche l’ambiente risente fortemente del conflitto in atto. Su questo aspetto, esprime forte preoccupazione Massimo Natale Caminiti, esperto di clima responsabile per l’Enea della sezione trasferimento tecnologico verso i Paesi in via di sviluppo in ambito di cambiamento climatico. “La guerra in Ucraina è un evento drammatico, che coinvolge intere popolazioni con morti e feriti, e ha inoltre un impatto ambientale micidiale perché aumenta i consumi energetici e li indirizza verso usi non corretti”, ha dichiarato Caminiti all’AGI.
“Investire in carri armati non mi sembra il modo migliore per aiutare l’ambiente. Qualsiasi guerra minaccia la lotta al cambiamento climatico ma questa in particolare, dato che coinvolge le massime potenze mondiali”, ha sottolineato Caminiti. “È partita una corsa agli armamenti dalla quale non ci si può aspettare nulla di buono. In primo luogo perché provoca morti e feriti, ma anche perché assorbe risorse economiche che potrebbero essere impiegate per la ricerca di energie alternative, nonché per l’aiuto ai Paesi del Terzo mondo che stanno soffrendo per la siccità e le carestie, e nessuno li sta aiutando”.
“La finestra temporale per intervenire per risolvere il problema del cambiamento climatico si sta restringendo fortemente – avverte il ricercatore dell’Enea – entro questo decennio dovremmo invertire la curva delle emissioni mondiali per limitare a 1,5°C l’innalzamento delle temperature. Dal 2010 al 2020 abbiamo aumentato le emissioni come mai era successo nella storia umana. L’anno scorso, al G20 e alla Cop26 di Glasgow, sono state adottate decisioni che andavano verso una riduzione del riscaldamento globale, la storia stava per cambiare direzione”.
Caminiti ricorda che “l’Italia importa dalla Russia gas, petrolio, carbone per circa un 25% nostro fabbisogno, e metano per il 40%. Questo ci rende vulnerabili. Dovremmo cercare di renderci più autonomi. Il carbone e il petrolio li possiamo prendere da altre parti, c’è un mercato internazionale. Per il metano, invece, il problema si pone, perché ci può arrivare solamente con i metanodotti o attraverso le metaniere. La prima cosa da fare sarebbe sviluppare la ricerca e le fonti rinnovabili, cosa che negli ultimi anni non è stata fatta. Dal 1998 al 2013 c’è stato un aumento considerevole delle rinnovabili. Poi dal 2013 si sono stabilizzate“.
La guerra ci spinge ad aumentare il consumo dei combustibili fossili? “Più che altro la guerra a livello internazionale ci distrae dalle scelte che possono andare verso la de-carbonizzazione. Riattivare le centrali a carbone in Italia dà un contributo trascurabile – osserva l’esperto dell’Enea – lo può dare in una situazione di emergenza, per qualche semestre, poi bisogna scegliere. La scelta corretta è quella indicata dalla scienza, fuoriuscire dal carbone già nei prossimi anni e successivamente dal petrolio e dal gas, per arrivare a obiettivo emissioni zero entro il 2050. Ricordiamo anche – conclude Caminiti – che l’Europa è il primo mercato a livello mondiale e grazie a questa sua posizione può dare un contributo più forte nel contrasto al cambiamento climatico e a favore del superamento del conflitto e della crisi internazionale”.