Vardzia: la città nelle grotte ancora abitata dai monaci della Georgia

Costruita nel XII secolo per volere della amatissima regina Tamara, ancora oggi Vardzia, la città nelle grotte della Georgia, è abitata da monaci ortodossi e servita da un acquedotto che funziona da un millennio
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Nel sud della Georgia si trova un sito spettacolare patrimonio dell’Unesco dal 2007: si tratta di Vardzia, una città nelle grotte scavata nel XII secolo per volere dell’amatissima regina Tamara e ancora oggi abitata da un gruppo di monaci che se ne prende cura. Agli odierni visitatori sono aperti centinaia di ambienti tra case, chiese affrescate, cantine e depositi; inoltre, l’insediamento rupestre viene servito dall’acqua potabile dello stesso ingegnoso sistema di condutture idrauliche creato quasi mille anni fa.

L’insediamento rupestre di Vardzia

vardziaTra i molteplici gioielli architettonici della Georgia, un posto d’onore spetta al complesso di Vardzia, una città scolpita nella roccia sul fianco del Monte Erushet, a 1300 metri sul livello del mare, che fu realizzata per volere dell’amatissima regina Tamara nel 1185 d.C.e in cui trovavano posto non solo abitazioni, ma anche luoghi di commercio, biblioteche e molti altri spazi per un totale di 6000 locali suddivisi su 13 livelli.

A causa di un terremoto, nel 1283, gran parte della città venne distrutta e quello che oggi si può visitare rappresenta circa un terzo delle originarie dimensioni dell’insediamento rupestre. Ancora oggi, tuttavia, si possono visitare circa 300 stanze e incontrare i pochi monaci che ancora vi abitano. Un nucleo di monaci ortodossi, infatti, è tornato ad insediarsi qui dopo la conquista dell’autonomia dall’Unione Sovietica e oggi animano la vita religiosa del luogo.

A Vardzia si giunge a sud della Georgia, in prossimità del confine con l’Armenia, risalendo la valle tortuosa del fiume Mtkvari, scavata dall’erosione tra le montagne del Caucaso. La valle ospita numerosi siti storici e di interesse archeologico che si iscrivono nel Vardzia historical-architectural museum-reserve, un museo diffuso a tutti gli effetti.

Oggi Vardzia rappresenta una delle principali attrazioni turistiche della regione georgiana di Samtskhe-Javakheti. Dal 2007, inoltre, il sito è stato inserito nella lista dei Patrimoni dell’UNESCO per l’alto valore storico rappresentato da questa città monastero.

Cosa si può vedere a Vardzia

La città nelle grotte appare come una parete rocciosa verticale punteggiata da numerosissime aperture, sono gli insediamenti rupestri ai quali si accede attraverso scale intagliate nelle rocce, cunicoli e strette vie che consentono di accedere a circa 400 stanze, 13 chiese e 25 depositi e cantine, tutte servite da un sistema di condutture che consente ancora di avere acqua potabile attraverso l’acquedotto ipogeo di tre chilometri che rifornisce le cisterne interne; nelle cantine si conservano anche alcune centinaia di vasi di argilla, qvevri, che interrati in materiale isolante contribuivano a mantenere inalterate le caratteristiche delle derrate conservate.

Le decorazioni pittoriche consentono di datarla, in base ai ritratti reali effettuati dal pittore Giorgi, a partire dal 1185. Tra gli affreschi più notevoli vi è un ciclo delle Dodici feste e al di sopra dell’entrata meridionale della maggiore delle chiese un Mandylion. Qui la volta del portico reca la rappresentazione del Giudizio Universale, motivo iconografico particolarmente diffuso nel Paese come l’Ascensione e la Glorificazione della Croce, anch’esse presenti.

Per quanto concerne la vita domestica di un tempo nelle abitazioni si nota una separazione della zona adibita al riposo notturno da quelle praticate durante le ore diurne, i soffitti dalle volte a botte terminavano in pareti nelle quali erano ricavati dispense e armadi, mentre la cottura degli alimenti avveniva in focolari incisi nel pavimento.
Lo smaltimento delle acque reflue veniva garantito dall’inclinazione del piano pavimentale e da un sistema di gronde esterne, infine, nel caso in cui ci fosse stato pericolo di invasione, gli abitanti di Vardzia avrebbero potuto sempre contare sui cunicoli in grado di consentire loro una via di fuga rapida verso il fiume.

La storia e le leggende di Vardzia

La prima Vardzia fu ricavata dalla roccia nel X secolo d.C., per volere del re che desiderava farne una fortezza rupestre invisibile nella roccia e presidiata da soldati a controllo della vicina frontiera. Quando i confini si ampliarono e non fu più necessaria la vigilanza, l’amatissima regina Tamar, la figlia del re, trasformò l’insediamento in una vera e propria “Città sacra” che in breve tempo arrivò ad ospitare centinaia di monaci e divenne un baluardo della spiritualità georgiana.

Una leggenda narra che mentre re Giorgio III era a caccia con alcuni nobili georgiani, sua figlia Tamar si perse mentre stava giocando. Distratta dai suoi giochi, infatti, non si rese conto di essersi persa nella città delle grotte. Il re quando si accorse della scomparsa della figlia diede subito ordine di interrompere la caccia e iniziare a cercarla. Quando infine Tamar rispose alle voci che la chiamavano ella con voce felice disse: Aq Var Dzia” che significa: “Sono qui zio”. Così, proprio da queste parole deriva il nome di questo luogo ‘Vardzia’.

Si narra, inoltre, che quando fu Tamara, chiamata “re dei re e regina delle regine”, a prendere le redini del regno ordinò di scavare proprio in quel luogo le stanze in cui nascondersi dai nemici, in un anno ne furono completate 365, una per ogni giorno.

Il complesso fu realizzato poi in circa 48 anni ed era progettato per ospitare fino a 50.000 persone in tempi di estrema difesa. Nelle oltre 6000 stanze di un tempo gli abitanti di Vardzia potevano celarsi agli occhi del nemico, soprattutto i Mongoli che arrivavano dalle steppe dell’est per razziare le fertili valli georgiane. Questi ultimi furono i primi a dichiarare cristiano il loro regno e la stessa Vardzia divenne un baluardo cristiano contro le invasioni dei Mongoli, il cui regno si espandeva a discapito della piccola Georgia.

La città nelle grotte ospitava anche una sala reale e terrazze coltivate per l’autosostentamento. L’unico accesso al complesso erano alcuni tunnel ben celati e le cui entrate erano situate strategicamente invisibili al nemico presso il fiume Mtkvari.

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