Prima era solo un’ipotesi, ma adesso il buco nero che si trova al centro della nostra galassia, la Via Lattea, è una realtà: la prova schiacciante è arrivata dall’immagine di Sagittarius A*, una foto catturata grazie alla collaborazione internazionale Event Horizon Telescope (EHT). Nella ricerca, durata 5 anni, l’Italia ha giocato un ruolo importante, con l’Istituto Nazionale di Astrofisica, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’Università Federico II di Napoli e Università di Cagliari. La scoperta, i cui dettagli sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal Letters, è stata annunciata lo scorso 12 maggio in una serie di conferenze stampa organizzate in tutto il mondo. Per raggiungere lo risultato storico hanno lavorato più di 300 ricercatori di 80 istituti in tutto il mondo.
Il buco nero non è visibile direttamente perché non emette luce: si vede uno spesso anello di gas brillante, prodotto dalla luce distorta dalla potente gravità del buco nero, che ha una massa pari a 4 milioni di volte quella del Sole ed è distante dalla Terra 27mila anni luce, in direzione della costellazione del Sagittario.
“L’EHTC (Event Horizon Telescope Collaboration) ha pubblicato l’immagine del buco nero supermassiccio nel centro della nostra galassia. Si sapeva già che qui doveva risiedere un oggetto molto compatto e probabilmente un buco nero, dalle osservazione delle orbite stellari fatte dai team dei premi Nobel Andrea Ghez e Reinhard Genzel. Ma poter campionare il campo gravitazionale su alcuni raggi di Schwarzschild (il raggio di Schwarzschild è una unita di lunghezza che definisce l’orizzonte degli eventi; dipende dalla massa ed è caratteristica per un buco nero) ci ha fornito una forte prova che 1) la teoria della Relatività Generale è valida anche in questo campo di gravità estremamente forte e che 2) l’oggetto al centro è proprio un buco nero perché possiede un orizzonte degli eventi e perché la dimensione della ciambella coincide esattamente con la previsione per un buco nero formulata usando la teoria di Einstein. Il risultato è storico perché è da molto tempo che gli astronomi cercano di sapere cosa abbiamo nel centro della Via Lattea, ed adesso possiamo finalmente dire che anche la Via Lattea ha un buco nero supermassiccio come molte altre galassie. Il risultato è anche molto importante perché paragonato con la foto del buco nero nella galassia M87 non ci sono molte differenze anche se la differenza in massa dei due buchi neri è molto grande, all’incirca un fattore 1500. Insieme questi due risultati ci fanno capire come funzionano i buchi neri in generale“: a spiegare perché si tratta di un risultato eccezionale è Kazi Rygl, ricercatrice INAF e membro del team scientifico di EHT.
Kazi Rygl si è laureata nel 2006 in Astronomia presso l’Università di Amsterdam, conseguendo il dottorato nel 2010 all’Università di Bonn. Oggi lavora come ricercatrice presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica, Istituto di Radioastronomia INAF di Bologna, all’interno del nodo italiano dell’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA) Regional Center europeo, per il supporto della comunità scientifica nell’utilizzo dell’interferometro ALMA.
Fa parte della collaborazione Event Horizon Telescope Consortium e ha contribuito nell’aprile 2019 alla pubblicazione della prima immagine del buco nero al centro della galassia M87, partecipando al gruppo di lavoro per la calibrazione dei dati.
Ai microfoni di MeteoWeb, l’esperta ha evidenziato cos’è cambiato, dopo la scoperta annunciata lo scorso 12 maggio, nel panorama scientifico. “Adesso possiamo dire con certezza che al centro della nostra galassia c’è un buco nero supermassiccio. E’ stata la collega Mariafelicia De Laurentis dell’Università di Napoli “Federico II”, INFN ed affiliata INAF, che ha guidato la pubblicazione relativa all’interpretazione teorica dell’immagine confrontandola con vari tipi di oggetti compatti e metriche spazio-tempo“.
Per arrivare al risultato epocale, è stato necessario il lavoro di centinaia di persone: “La nostra collaborazione è composta da circa 300 ricercatori di diversi paesi e con diverse competenze. Per arrivare alla immagine e alla sua interpretazione c’è bisogno di molti passi partendo dall’acquisizione dati fino all’interpretazione astrofisica dell’immagine. Di ognuno di questi passi si è occupato un specifico gruppo di esperti dentro la collaborazione. L’Event Horizon Telescope (lo strumento) comprende una rete di antenne radio sparse nel mondo fra cui il più importante componente, data la sua grandissima sensibilità, è l’interferometro ALMA locato su un altopiano in Cile,” ha spiegato la ricercatrice. “Con la mia collega Elisabetta Liuzzo abbiamo lavorato nel gruppo della calibrazione dei dati EHT, ovvero la pulizia dei dati dagli effetti dell’atmosfera ed effetti sistematici. Noi avevamo già una grande esperienza di calibrazione dati perché lavoriamo all’INAF Istituto di Radioastronomia a Bologna presso il centro supporto italiano di ALMA dove assistiamo gli utenti italiani con l’uso scientifico di questo strumento“.
Ottenere il nuovo risultato rispetto alla foto di M87 è stato più difficile, nonostante Sgr A* sia molto più vicino a noi: “Essendo anche noi nel disco Galattico vediamo il centro attraverso una grande quantità di polvere e gas. Il gas ionizzato distorce la radiazione, creando il primo problema che si deve correggere. Poi, le scale spaziali su cui possiamo osservare il buco nero al centro della Via Lattea sono molto piccole, come la orbita di Mercurio. Mentre, in M87, le dimensioni erano appena più grandi del nostro sistema solare. A causa della ridotta scala spaziale di Sgr A*, il plasma che circonda il buco nero compie una orbita intorno ad esso di pochi minuti e cambia continuamente mentre lo osserviamo. Per M87*, dove la variabilità avviene su scale di tempo di settimane si poteva assumere che l’emissione era costante. Per Sgr A* sono stati sviluppati nuovi metodi di analisi per affrontare il problema della variabilità in modo corretto“.
Dopo l’eccezionale risultato si guarda già al futuro: “La prossima tappa sarebbe di studiare il campo magnetico del buco nero in Sgr A*. Questo ci darebbe molte informazioni sui processi fisici che avvengono intorno ad esso, come, ad esempio, l’accrescimento di materia,” ha affermato l’esperta. “Abbiamo ancora molti dati osservati dalle campagne osservative del 2018, 2021, e 2022, che ci danno lavoro abbondante per i prossimi anni. Un aumento di telescopi che faranno parte del EHT è già previsto, e darà sicuramente ulteriore impulso alla collaborazione. Per adesso uno degli aspetti più interessanti ed affascinanti a livello sociale è questo enorme lavoro che si fa insieme con una squadra globale,” ha concluso la ricercatrice INAF.
La collaborazione EHT
L’EHT è una collaborazione internazionale nata per raggiungere uno degli obiettivi più ambiziosi dell’astrofisica moderna: osservare direttamente l’ambiente circostante di un buco nero con una risoluzione angolare paragonabile all’orizzonte degli eventi – la regione intorno a un buco nero dalla quale non può fuoriuscire nulla, nemmeno la luce. Il progetto valorizza e porta avanti il costante progresso nella tecnica della Very Long Baseline Interferometry (VLBI). Questa tecnica, in uso in radioastronomia sin dagli anni Cinquanta, consiste nel correlare dati da radiotelescopi sparsi in tutto il mondo, mettendoli a sistema per creare insieme un interferometro dalle dimensioni molto maggiori di quelle di ogni singola antenna. Nel caso di EHT, combinando radiotelescopi in diversi continenti si è creato un osservatorio virtuale delle dimensioni della Terra stessa: in questo modo, si ottiene il massimo potere di risoluzione angolare – l’abilità di distinguere dettagli nel cielo – raggiungibile da un osservatorio sulla superficie terrestre.
Nell’aprile 2017, la Collaborazione EHT ha usato la tecnica VLBI per osservare due buchi neri supermassicci: SgrA*, al centro della nostra galassia, la Via Lattea, e M87*, al centro della galassia M87 (anche nota come Virgo A). Questi sono stati scelti poiché, tra i buchi neri noti, sono quelli con le maggiori dimensioni apparenti dell’orizzonte degli eventi.
Le osservazioni mediante radiotelescopi sopperiscono alle osservazioni in banda ottica, rese difficoltose dalle nubi di polveri e gas che circondano il centro della galassia. Poiché anche le onde radio rilevate dai singoli osservatori sono ostacolate da nubi di gas ionizzato, si rende necessaria una rete millimetrica collegata in VLBI, una tecnologia che ha recentemente avuto un forte sviluppo anche grazie a EHT.
La collaborazione EHT è stata protagonista della realizzazione della prima immagine di un buco nero (quello al centro della galassia M87, o Virgo A), pubblicata il 10 aprile 2019.
I telescopi coinvolti nelle osservazioni dell’Event Horizon Telescope nell’aprile 2017 sono:
- Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA)
- Atacama Pathfinder Experiment (APEX) in Cile
- IRAM 30-meter Telescope in Spagna
- James Clerk Maxwell Telescope (JCMT) e il Submillimeter Array (SMA) alle Hawaiʻi
- Large Millimeter Telescope Alfonso Serrano (LMT) in Messico
- UArizona Submillimeter Telescope (SMT) in Arizona
- South Pole Telescope (SPT) in Antartide
Dopo la campagna osservativa del 2017 la collaborazione EHT ha aggiunto alla sua rete:
- Greenland Telescope (GLT) in Groenlandia
- NOrthern Extended Millimeter Array (NOEMA) in Francia
- UArizona 12-meter Telescope su Kitt Peak, Arizona