“La Giornata mondiale del tumore ovarico quest’anno è l’occasione per promuovere i nuovi farmaci per la cura di quei tumori fino ieri considerati killer inarrestabili e per sollecitare l’impegno del mondo della ricerca e degli enti regolatori perché rendano disponibili i test genetici necessari per estendere il loro uso a tutte le pazienti che ne possono beneficiare”. Questo il messaggio di Nicoletta Colombo, Direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia, per l’8 maggio: il World Ovarian Cancer day istituito dalla World Ovarian Cancer Coalition, che riunisce associazioni di pazienti e di specialisti da tutto il mondo.
L’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha recentemente esteso la rimborsabilità di Olaparib, il capostipite dei farmaci chiamati parp-inibitori (molecole che agiscono selettivamente su cellule con specifiche anomalie genetiche), dalle sole pazienti positive al test genetico per le mutazioni BRCA (come era fino a fine 2021) anche alle pazienti positive al test HRD. Questo test individua un difetto del meccanismo di riparo del DNA chiamato “deficit di ricombinazione omologa”, che riguarda circa il 50% delle pazienti con carcinoma sieroso di alto grado, la forma più complessa e più diffusa di cancro ovarico.
La terapia con Olaparib potrà essere somministrata a pazienti in stadio avanzato, in combinazione con Bevacizumab, un anticorpo monoclonale con effetto antiangiogenico, nel trattamento di mantenimento di prima linea. Per il tumore dell’ovaio dopo la chemioterapia spesso si opta infatti per una terapia mirata a ottenere una remissione a lungo termine, chiamata “di mantenimento” perché si sa che il 70% delle pazienti con malattia avanzata va incontro a una recidiva entro due anni.
AIFA aveva recentemente concesso la rimborsabilità per un altro PARP-inibitore, il niraparib, come terapia di mantenimento dopo chemioterapia di prima linea. Tale farmaco può essere utilizzato in tutte le pazienti che abbiano una malattia ad alto rischio (inoperabili, stadio IV o con residuo tumorale dopo la chirurgia primaria).
“Nello studio Paola I, pubblicato sul New England Journal of Medicine– spiega Nicoletta Colombo che ne è coautrice – la combinazione dei due farmaci ha ridotto il rischio di progressione della malattia o morte del 67%. I dati ottenuti con un follow-up a 36 mesi hanno mostrato anche un miglioramento dei tempi di recidiva, con una mediana di 50,3 mesi, rispetto ai 35,3 mesi con Bevacizumab da solo. Si è inoltre osservato che i vantaggi sono presenti nella popolazione HRD positiva, ma non in quella negativa al test HRD. L’esecuzione del test HRD, oltre a quello per le mutazioni BRCA, al momento della diagnosi assume dunque un ruolo fondamentale poiché permette di identificare tempestivamente le pazienti che possono beneficiare di un trattamento in grado di controllare la malattia a lungo termine, ritardando la ricaduta, con una buona qualità di vita”. Tuttavia, a differenza dei test BRCA, il test HRD attualmente in Italia è disponibile solo in pochi centri e non è rimborsato dal sistema sanitario nazionale.
“Ormai è certo che le mutazioni dei geni BRCA rappresentano solo una parte delle mutazioni genetiche che predicono la sensibilità ai Parp-inibitori. La priorità ora è diffondere il test HRD, che può identificare le altre anomalie-bersaglio per questi farmaci. Al momento l’azienda che ha identificato e validato il test detiene il monopolio, ma c’è un impegno importante da parte della ricerca accademica internazionale per la messa a punto di un test non commerciale. Il nostro appello per il World Ovarian Cancer day è di accelerare i tempi della scienza e dei regolamenti, pensando alle migliaia di donne che ogni giorno ricevano una diagnosi di cancro ovarico e che potrebbero da subito essere curate meglio e avere una speranza in più” conclude Colombo.
Tumore dell’ovaio, IEO: “servono più test genetici per sfruttare i nuovi farmaci”
Appello dello IEO per la Giornata Mondiale del Tumore Ovarico
MeteoWeb