L’aborto è incredibilmente tornato al centro del dibattito internazionale nel 2022, quando pensavamo che alcune conquiste sociali e civili fossero ormai acquisite. Ma rispetto alla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America è doveroso approfondire come stanno davvero le cose, per evitare che – come purtroppo sempre più spesso accade – il dibattito rimanga vittima di estrema superficialità. Non è infatti vero che questa sentenza vieta l’aborto negli USA: la sentenza della Corte americana non entra assolutamente nel merito della questione abortista e non esprime alcun giudizio rispetto al fatto se debba essere concesso o meno di abortire.
Si tratta, infatti, di una sentenza di natura prettamente giuridica che, in base all’ordinamento federale americano, ripristina e afferma il diritto costituzionale di ogni singolo Stato federale USA di decidere autonomamente se consentire o meno l’aborto. Non c’è quindi alcun divieto, anzi: ogni Stato decide liberamente, e la stragrande maggioranza dei 50 Stati confederati ha già approvato leggi molto liberali che consentono di abortire liberamente. La decisione della Corte, quindi, non entra nel merito dell’aborto in sé, ma ribadisce un principio costituzionale americano secondo cui gli Stati federali debbano avere grande autonomia su praticamente tutto, eccetto pochi fondamentali necessariamente condivisi come la politica estera.
Negli USA, infatti, persino le tasse si pagano in base federale: ogni Stato decide per sé, e un cittadino californiano paga le tasse in modo diverso da un texano o un newyorkese. Ma l’esempio più clamoroso, dibattuto e controverso è quello della pena di morte. Anche la pena di morte negli Stati Uniti d’America è stabilita a livello federale. E ad oggi sono ben 13 gli Stati USA che applicano regolarmente la pena di morte, più un 14°, l’Ohio, che la applica in soli casi eccezionali. Tra gli Stati americani in cui è applicata la pena di morte ci sono anche il Texas (29 milioni di abitanti), la Florida (21 milioni di abitanti), la Georgia (10 milioni di abitanti), il Tennessee (7 milioni di abitanti), il Missouri (6 milioni di abitanti) e l’Alabama (5 milioni di abitanti), più l’Ohio appunto che la applica in casi eccezionali (12 milioni di abitanti).
Sono inoltre moltissimi gli Stati in cui la pena di morte è in vigore, ma non viene applicata da 10 anni (Kansas, Louisisna, Nevada, Utah, Wyoming) o quelli in cui pur essendo in vigore, è prevista una moratoria (Arizona, California, Carolina del Nord, Kentucky, Montana, Oregon e Pennsylvania). In definitiva, gli Stati americani che hanno abolito la pena di morte sono soltanto 24, meno della metà.
Da una barbarie all’altra, sull’aborto la situazione è per fortuna molto più rosea. Gli Stati che hanno bandito l’aborto dopo la sentenza della Corte Suprema, infatti, sono soltanto 7 (Kentucky, Louisiana, Arkansas, South Dakota, Missouri, Oklahoma e Alabama), mentre in tutto il resto del Paese si può continuare ad abortire regolarmente. Vivaddio. In altri Stati c’è un grande dibattito sull’eventuale introduzione del divieto (Mississippi, North Dakota, Wyoming, Utah, Idaho, Tennessee e Texas) mentre molti altri hanno rilanciato con forza la libertà di aborto proprio in queste ore dopo la sentenza della Corte, che quindi non impedisce in alcun modo l’aborto negli USA ma ripristina il diritto costituzionale degli Stati di decidere in autonomia. Come appunto per le tasse o per la pena di morte.
Le feroci polemiche alimentate in Europa da numerosi esponenti politici, stonano quindi non solo con la ratio della sentenza che è di natura prettamente giuridica, ma anche con lo status quo sull’aborto in Europa, dove i Paesi che vietano l’aborto sono importanti e numerosi. E’ completamente vietato abortire a Malta, Paese membro dell’Unione Europea nonché patria del Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, ma sempre nell’Ue non si può abortire – se non in casi estremi – neanche nella civilissima Finlandia e nella cattolica Polonia, mentre fuori dall’Ue ma sempre nei confini del mondo evoluto e civilizzato dell’occidente, l’aborto è vietato anche in Islanda e Regno Unito, a meno che non sia a rischio la vita della gestante, il bambino in grembo sia prodotto di stupro o il feto abbia malformazioni. Analoga legislazione in Messico, Cile, Paraguay e Indonesia, mentre nelle Filippine non si può abortire neanche se la gestante è in pericolo di vita. Tantissimi, invece, i Paesi asiatici, africani e latinoamericani in cui il divieto di aborto è totale, mentre paradossalmente tra i Paesi del mondo in cui c’è la totale e assoluta libertà di abortire troviamo la Russia di Putin e la Cina di Xi Jinping, oltre a Canada, Australia e ai principali Paesi europei come Italia, Francia e Germania.
Si tratta di un diritto sacrosanto per le donne e per la società, da difendere con le unghie e con i denti dai retrogradi del terzo millennio. Ma consentiteci un’ultima postilla: quanto sono clamorosamente ipocriti quei leader politici che oggi chiedono di affermare il “diritto delle donne di decidere del proprio corpo” ma pochi mesi fa imponevano l’obbligo del Green Pass per costringere le persone a vaccinarsi controvoglia: non era forse anche quella una negazione del diritto di decidere del proprio corpo? Non hanno alcuna credibilità e dimostrano di combattere soltanto battaglie di facciata per principio e ideologia, comportandosi però in modo assolutamente illiberale alla prima occasione utile.