In un articolo pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal, due ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ripercorrono gli oltre trent’anni di osservazioni dedicati allo studio dei raggi gamma lunghi (long gamma-ray bursts o LGRB) e a tutte le informazioni che sono state raccolte per determinare con quale frequenza si generano queste esplosioni in funzione del tempo cosmico. L’obiettivo è quello di comprendere come si generino questi eventi e come evolvano durante la storia cosmica. Inoltre questo lavoro permette di ottimizzare la ricerca di questi eventi con la nuova strumentazione attualmente allo studio per proposte di missione future. Giancarlo Ghirlanda e Ruben Salvaterra (entrambi ricercatori nell’area milanese dell’INAF), snocciolando tre decenni di dati (raccolti da vari satelliti, come il Compton Gamma Ray Observatory, BeppoSAX, Swift, Fermi) e studi scientifici che hanno fatto la storia di questo campo dell’astrofisica, spiegano che i GRB, le esplosioni più potenti dell’universo, sono i laboratori perfetti per studiare i processi fisici più estremi e per sondare le proprietà del cosmo e la sua evoluzione. Per comprendere meglio questi eventi è necessario ripercorrere la loro storia evolutiva fin dai primi istanti di vita dell’Universo. Per fare questo i due ricercatori hanno ripercorso tutto il repertorio storico osservativo usando le più moderne tecniche statistiche.
I lampi gamma sono esplosioni che rilasciano getti di materia con velocità prossime a quelle della luce. Si tratta di eventi che osserviamo come lampi estremamente luminosi nelle frequenze dei raggi gamma, così intensi da sopraffare qualsiasi altra sorgente ad alte energie nel cielo. I lampi gamma hanno una durata variabile e si classificano in corti e lunghi: i primi sono solitamente dovuti alla fusione attraverso l’emissione di onde gravitazionali di due stelle di neutroni o di una stella di neutroni con un buco nero e hanno una durata che va da poche decine di millisecondi fino a 2 secondi; mentre i lampi lunghi, che durano da 2 secondi fino a qualche minuto, sono associati all’esplosione di una stella di massa superiore a venti/trenta volte quella del Sole, giunta alla fine del suo ciclo evolutivo.
Ghirlanda afferma: “I dati confermano che i lampi di raggi gamma lunghi preferiscono formarsi in ambienti poveri di elementi chimici più pesanti dell’idrogeno e dell’elio – che gli astrofisici chiamano genericamente metalli – consistentemente con le proprietà delle galassie che li ospitano. Questo aspetto determina che l’efficienza con cui i loro progenitori, stelle di grande massa, li producono aumenta con l’aumentare della distanza a cui li osserviamo, in conseguenza della diminuzione globale dei metalli nell’Universo.” “L’elemento di novità è il fatto di aver capito che i GRB lunghi tendono a essere più luminosi in epoche cosmiche passate”, aggiunge Salvaterra. “Quindi, oltre all’ambiente in cui si formano, è possibile che la stessa metallicità giochi un ruolo nel rendere più luminosi i lampi di raggi gamma osservati a distanze più elevate”.
I GRB sono al centro di continue rivoluzioni scientifiche in ambito astrofisico in cui INAF è impegnato sia sul piano osservativo interpretativo che con la partecipazione a grandi missioni dallo spazio per la loro rivelazione e studio. Lo studio pubblicato su ApJ e firmato dai due ricercatori INAF rappresenta un mezzo per diverse collaborazioni internazionali per la messa a punto di nuovi strumenti da Terra e dallo spazio. Alla base dei loro calcoli e dei loro risultati c’è l’applicazione di un metodo statistico bayesiano a dati di archivio e la raccolta di campioni di eventi ben selezionati presenti in letteratura.