Tumore al colon retto metastatico: cura più efficace se ad intermittenza

Con la nuova strategia di somministrazione delle terapie standard si eliminano gli effetti collaterali, migliora la sopravvivenza libera da malattia, si riducono gli accessi in ospedale
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Si allunga e migliora la qualità della vita dei pazienti affetti da tumore al colon retto metastatico. Tutto merito di una cura, che associa un anticorpo alla chemioterapia, ma che viene somministrata non più secondo posologia, ma secondo i casi. Ad intermittenza. Solo se e quando è necessario, dunque. Tutto questo significa: meno effetti collaterali, meno accessi in ospedale, migliore qualità della vita, sopravvivenza libera da malattia che si allunga a 20 mesi rispetto ai 13 del trattamento standard in quanto, nel momento in cui la cura viene interrotta, le cellule tumorali non fanno in tempo ad adattarsi al farmaco e, quindi, sviluppano più tardi la resistenza.
E’ quanto emerge dallo studio “Improve”, uno studio tutto italiano, coordinato dall’Istituto dei tumori di Napoli, e presentato oggi a Chicago all’Asco, il Congresso americano di oncologia. La nuova strategia di somministrazione della cura avrebbe avuto effetti positivi su 137 pazienti con tumore del colon retto metastatico, in prima linea di trattamento, arruolati in 14 centri italiani. Dai primi dati è emerso che somministrando l’anticorpo anti-EGFR panitumumab con la chemioterapia standard e confrontando la modalità classica di somministrazione continua verso una somministrazione alternata a periodi di interruzione, in questi pazienti è migliorata l’efficacia del trattamento e al tempo stesso si sono attenuati alcuni effetti collaterali, come la tossicità cutanea, che impatta in maniera significativa sulla loro qualità di vita. Lo studio ha dimostrato per la prima volta nel tumore del colon-retto che il trattamento sperimentale intermittente comporta un miglioramento della sopravvivenza libera da progressione. In particolare nei tumori del colon metastatico la sopravvivenza libera da progressione ha raggiunto i 20 mesi con un miglioramento di 7 mesi rispetto al trattamento standard.

Questi risultati rivestono una particolare importanza nella pratica clinica – dichiara Antonio Avallone, prima firma dello studio Improve, direttore dell’Oncologia Clinica Sperimentale Addome del Pascale – rispondendo ad una esigenza molto sentita dei pazienti di una migliore qualità di vita ed assumono particolare rilevanza nell’era della pandemia da Covid-19 in quanto la strategia di trattamento intermittente riduce gli accessi ospedalieri dei pazienti”.
Il lavoro nasce dalla stretta collaborazione tra l’Unità diretta da Avallone e quella di Farmacologia Sperimentale Oncologica diretta da Alfredo Budillon co-principal investigator dello studio e responsabile degli studi traslazionali associati, con il coinvolgimento della Chirurgia Oncologica Colonrettale diretta da Paolo Del Rio, e della Chirurgia Oncologica Epatobiliare diretta da Francesco Izzo.
Le analisi in corso sui campioni biologici dei pazienti trattati nello studio – sottolinea Budillon – avviate anche in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli, permetteranno di definire biomarcatori in grado di ottimizzare e personalizzare questa nuova strategia terapeutica e allo stesso tempo di verificare il razionale biologico dello studio basato sulla modulazione dell’evoluzione del tumore per contrastare la comparsa di resistenza al trattamento.”

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