Nel tumore del polmone in stadio iniziale l’immunoterapia più chemioterapia, prima dell’intervento chirurgico (neoadiuvante), può aumentare il numero delle guarigioni. Un obiettivo molto importante in una malattia difficile da trattare. Lo dimostrano i dati aggiornati dello studio di fase 3 CheckMate-816, in cui l’associazione di nivolumab, molecola immunoncologica, e chemioterapia è stata somministrata a persone con tumore del polmone non a piccole cellule resecabile dallo stadio IB a IIIA. Nei pazienti che, dopo il trattamento con chemioimmunoterapia, ottengono la risposta patologica completa, cioè non presentano più segni di malattia, la riduzione del rischio di recidiva supera l’80%. Non solo. Al Congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO), che si chiude oggi a Chicago, sono presentati anche i risultati a 3 anni della duplice immunoterapia con nivolumab più ipilimumab, associata a cicli limitati di chemioterapia, cioè due invece dei ‘classici’ quattro o sei, in prima linea nel tumore del polmone non a piccole cellule metastatico. Nello studio CheckMate -9LA, il 27% dei pazienti trattati con questo approccio è vivo a tre anni rispetto al 19% con la sola chemioterapia. I risultati dei due studi sono approfonditi oggi nel press briefing promosso da Bristol Myers Squibb.
Nel 2020, in Italia, sono stati stimati circa 41.000 nuovi casi di cancro del polmone. “Troppo spesso la malattia è scoperta in fase avanzata e le diagnosi in stadio precoce, candidabili all’intervento chirurgico, non superano il 25% – afferma Federico Cappuzzo, Direttore dell’Oncologia Medica 2 all’Istituto Nazionale Tumori ‘Regina Elena’ di Roma -. I risultati dello studio CheckMate-816, che ha arruolato 358 pazienti, sono davvero significativi e possono condurre a una modifica delle linee guida del trattamento in fase precoce. Ad oggi, l’intervento chirurgico è considerato l’unico strumento per ottenere la guarigione definitiva. Una percentuale compresa tra il 30% e il 55% dei pazienti però sviluppa recidiva dopo la chirurgia, confermando quindi una forte necessità di opzioni aggiuntive che interrompano questo ciclo. Se l’intervento chirurgico è preceduto da nivolumab più chemioterapia, è possibile ottenere una importante regressione tumorale e una potenziale guaribilità del paziente”. L’associazione di nivolumab e chemioterapia aveva già mostrato un miglioramento statisticamente significativo nel tasso di risposta patologica completa, ottenuta dal 24% dei pazienti rispetto al 2% di quelli trattati con la sola chemioterapia. “I dati aggiornati dello studio, presentati al Congresso ASCO – continua il prof. Cappuzzo –, mostrano la straordinaria capacità della chemioimmunoterapia neoadiuvante di ridurre di oltre l’80% il rischio di recidiva nei pazienti che ottengono la risposta patologica completa. In questo modo possono aumentare non solo le guarigioni, ma anche le persone candidabili all’intervento. Oggi, infatti, i pazienti con malattia non metastatica non operabile sono trattati con la chemioradioterapia, ma l’impatto dello studio CheckMate-816 è tale da poter portare a una modifica nella cura delle persone con malattia localmente avanzata, finora escluse dalla chirurgia”.
Se nella neoplasia in fase precoce la guarigione costituisce un obiettivo reale, nella patologia metastatica le terapie mirano a migliorare la sopravvivenza a lungo termine e alla cronicizzazione. “A tre anni, è vivo il 27% dei pazienti trattati in prima linea con la duplice terapia immunoncologica, costituita da nivolumab più ipilimumab, in associazione con due cicli di chemioterapia, rispetto al 19% con la sola chemioterapia – spiega Filippo de Marinis, Direttore della Divisione di Oncologia Toracica dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano –. I dati dello studio CheckMate -9LA, su più di 700 pazienti, si riferiscono anche a due sottogruppi tradizionalmente a prognosi sfavorevole, caratterizzati da bassa espressione del biomarcatore PD-L1 (inferiore all’1%) e dall’istologia squamosa. Nel primo caso, la sopravvivenza globale a 36 mesi ha raggiunto il 25% rispetto al 15% con la sola chemioterapia, nel secondo il 24% rispetto all’11%. Si rafforza, quindi, il valore di questo schema terapeutico, rimborsato dallo scorso gennaio anche in Italia. Nello studio CheckMate -9LA, sono somministrati solo due cicli di chemioterapia, a distanza di 21 giorni. Il paziente in meno di un mese termina la chemioterapia e prosegue con la sola immunoterapia. La riduzione della durata della chemioterapia porta indubbi vantaggi nella tollerabilità delle cure e nella qualità di vita”. “Inoltre – conclude il prof. de Marinis – in circa il 30% dei pazienti servono almeno 3-4 mesi perché l’immunoterapia diventi efficace. In questa fase di ‘attesa’, la malattia può progredire. Da qui la necessità di nuove opzioni in grado di migliorarne il controllo. Il disegno dello studio CheckMate -9LA consente di sommare i benefici a lungo termine dell’immunoterapia con l’efficacia immediata della chemioterapia, nella fase critica iniziale di stimolazione del sistema immunitario. È come se ci fossero due motori, elettrico e a benzina, che al momento della partenza funzionano insieme, per poi spegnerne uno. Così possiamo superare il limite critico di 3-4 mesi necessari per riavviare il sistema immunitario in alcuni pazienti, senza che ci sia progressione di malattia”.