Clima, Scafetta: “i modelli IPCC minimizzano la componente naturale e l’attività del sole”

"Una analisi inadeguata delle incertezze presenti nella letteratura a sfavore della variabilità climatica naturale genera un’artificiale emergenza climatica": l'articolo del Prof. Nicola Scafetta
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Nicola Scafetta, Professore di Fisica dell’atmosfera e climatologia dell’Università Federico II di Napoli, ha scritto un articolo per lo speciale di Calabria Live in cui si affronta il tema tanto dibattuto dei cosiddetti cambiamenti climatici antropici, ossia i cambiamenti del clima attribuiti all’azione dell’uomo, principalmente attraverso le emissioni di gas serra. Nel suo articolo, dal titolo “Interpretare i cambiamenti climatici”, Scafetta affronta il problema delle previsioni sul riscaldamento futuro basate sui modelli climatici attuali, mettendo in luce grandi lacune, come quelle che riguardando la componente naturale dei cambiamenti climatici e l’attività del sole. 

Di seguito, riportiamo l’articolo del Prof. Scafetta. 

Molteplici evidenze geologiche e meteorologiche suggeriscono che la superfice del pianeta si sia riscaldata in media di poco meno di 1°C dal cosiddetto periodo preindustriale, cioè dal 1850-1900 (IPCC, 2021). Tuttavia, quasi nessun altro argomento nelle scienze del clima è controverso come l’effetto che le variazioni dell’attività del Sole hanno avuto sul clima. Qui vorrei principalmente riassumere le conclusioni raggiunte da un gruppo di 23 esperti mondiali nei campi della fisica solare e delle scienze del clima provenienti da 14 paesi diversi, a cui ho contribuito, sintetizzando i risultati di 544 pubblicazioni scientifiche sull’argomento (Connolly et al., 2021). Prima, però, è necessario inquadrare il problema. 

Negli ultimi decenni il riscaldamento globale è divenuto di pubblico interesse perché i cambiamenti climatici, e soprattutto quelli di una certa rilevanza, possono avere importanti ricadute socioeconomiche. Un organismo delle Nazioni Unite – l’Intergovernmental Panel on Climate Change, (IPCC) – ha lo scopo di informare le varie nazioni sullo stato attuale della Scienza sui Cambiamenti Climatici. L’ultimo rapporto è del 2021 (IPCC, 2021). I cambiamenti climatici possono avere conseguenze socioeconomiche positive o negative a seconda del luogo; ad esempio, alcune regioni potrebbero diventare più verdi, mentre altre potrebbero diventare più desertiche, ed altro. Tuttavia, la tesi prevalente tra gli esperti è che, se il riscaldamento globale dovesse superare nei prossimi decenni gli 1.5-2.0°C rispetto al 1850-1900, su una scala globale le conseguenze negative dei cambiamenti climatici dovrebbero eccedere quelle positive. Si ritiene, tuttavia, che lo stato attuale sia di “emergenza climatica” perché delle previsioni climatiche basate su modelli teorici suggeriscono che la soglia dei 2.0°C potrebbe essere superata entro il 2050 e che, quindi, ci sarebbe l’urgenza di adottare politiche globali di mitigazione climatica finalizzate a invertire o almeno rallentare i cambiamenti climatici in atto (IPCC, 2018, 2021).  

Tuttavia, le politiche di mitigazione climatica sono molto costose anche perché interferiscono direttamente con la produzione energetica che oggi è prevalentemente basata sui combustibili fossili. Infatti, la tesi prevalente è che il riscaldamento globale sarebbe stato indotto principalmente dalle emissioni antropiche dei gas-serra atmosferici come l’anidride carbonica (CO2) indotte dall’uso del carbone, del metano e dai vari derivati del petrolio. L’uso dei combustibili fossili andrebbe immediatamente limitato e possibilmente azzerato per il 2050 per “salvare il pianeta”. Tale conclusione, però, deriva unicamente da alcune simulazioni climatiche eseguite da programmi computerizzati piuttosto complessi ma ancora inadeguati. L’ultima generazione di questi modelli climatici globali (GCM) è stata resa disponibile dal Coupled Model Intercomparison Project ed è indicata con la sigla CMIP6 GCM.  

Il problema principale di questi modelli, come anche dimostrato in alcuni miei studi, è che sono molto diversi tra di loro e sono piuttosto grossolani nel riprodurre gli andamenti dinamici osservati nel clima (Scafetta, 2013, 2021c, 2022). Ad esempio, la sensibilità climatica all’equilibrio (ECS) – cioè il riscaldamento globale teorico che il raddoppio della concentrazione di CO2 atmosferico da 280 a 560 ppm potrebbe indurre all’equilibrio termodinamico – varia da circa 1.8 a 6°C a seconda del GCM scelto (IPCC, 2021). Questa grande incertezza implica che per il periodo 2040-2060, i CMIP6 GCM predicono un riscaldamento che varia tra circa 1.5 a 4.0°C rispetto al 1850-1900. Tuttavia, un diretto confronto con i dati climatici dal 1980 al 2021 suggerisce una compatibilità con le osservazioni molto scarsa in generale insieme a una sovrastima del riscaldamento osservato. La situazione migliora solo per i modelli con una ECS bassa – ad esempio minore di 3°C – che però predicono un modesto riscaldamento futuro (Scafetta, 2021a).  

Quindi, da una parte i modelli climatici non sono consistenti nello stabilire o meno se una vera emergenza climatica esiste per davvero, e dall’altra, in ogni caso, solo i modelli meno allarmistici, cioè quelli con una bassa ECS, potrebbero al più essere presi in considerazione. Tuttavia, anche quest’ultimi risultati teorici appaiono eccessivi in quanto parzialmente contraddetti da diversi risultati empirici che suggeriscono valori dell’ECS ancora più bassi, da 0.5 a 2.5°C (Scafetta 2013; Lewis and Curry, 2018; Knutti et al., 2017). L’incertezza fisica è dovuta principalmente alla difficoltà in modellare la copertura nuvolosa i vari feedback relativi al ciclo dell’acqua. L’incertezza relativa alla sensibilità climatica all’aumento della CO2 atmosferica dovrebbe essere risolta o ridotta prima di usare questi modelli per determinare le politiche energetiche. Tuttavia, a questa incertezza si aggiungono altre due incertezze in grado di ridurre ulteriormente il valore della ECS del sistema climatico. L’argomento è dettagliato in Connolly et al. (2021). Un primo problema riguarda l’accuratezza dei record climatici che sono usati per stimare il riscaldamento climatico globale. Infatti, un’attenta analisi dei dati suggerisce il seguente: 1) che sebbene le superfici terrestri si devono riscaldare più velocemente di quelle oceaniche, i dati suggeriscono che il riscaldamento dei continenti rispetto all’oceano è eccessivo rispetto alle previsioni teoriche; 2) usando solo dati climatici misurati dai satelliti oppure in stazioni rurali (cioè escludendo quelle in prossimità dei centri urbani) il riscaldamento globale potrebbe essere inferiore di quello riportato da un 5% al 20% (Scafetta, 2021b; Connolly et al., 2021). Questo implica una ulteriore sovrastima dei GCM per quanto riguarda il riscaldamento teorico che un aumento di CO2 potrebbe indurre. 

Il secondo problema riguarda proprio l’effetto del sole sul clima. Infatti, le simulazioni dei modelli CMIP6 si basano su una ricostruzione del forzante radiativo solare che mostra una variabilità secolare molto piccola (Matthes et al., 2017). Tuttavia, la letteratura scientifica propone delle ricostruzioni dell’evoluzione dell’irraggiamento solare con una variabilità secolare fino a 5-10 volte superiore (Hoyt and Schatten, 1993; Egorova et al., 2018; Scafetta et al., 2019). Inoltre, un attento confronto con i dati satellitari (disponibili sin dal 1979) suggerisce una loro incompatibilità con le ricostruzioni solari mostranti una bassa variabilità secolare (Scafetta et al., 2019). Quindi, i GCM potrebbero ulteriormente sottostimare l’effetto climatico indotto dall’aumento dell’attività solare indicato da queste ricostruzioni ed osservato dal 1850 ad oggi (Connolly et al., 2021). Ovviamente, se il riscaldamento globale è sovrastimato e il contributo solare sottostimato dai GCM, si dovrebbe dedurre che l’effetto riscaldante dell’aumento atmosferico della CO2 dal 1850 ad oggi potrebbe essere piuttosto basso con una ECS intorno a 1.5°C o più bassa come stimato in Scafetta (2013). Quindi, considerando le varie ipotesi discusse nella letteratura scientifica, Connolly et al. (2021) concludono che il possibile contributo del sole al riscaldamento globale del XX secolo dipende in larga misura dalle specifiche ricostruzioni solari e climatiche adottate per l’analisi. Si va da un estremo in cui l’uomo domina i cambiamenti climatici dell’ultimo secolo ad un altro estremo in cui è il sole il fattore dominante.  

La questione è cruciale perché l’attuale tesi dell’IPCC (2021) secondo cui il riscaldamento climatico post-industriale sarebbe dovuto solo ed esclusivamente all’uomo e non anche al sole si basa solo sulle previsioni dei suddetti GCM, basate su forzanti solari ambigui e che sono anche confrontate con dei record climatici influenzati da distorsioni climatiche come quelle relative all’urbanizzazione che fa apparire il riscaldamento maggiore di quello che presumibilmente è stato. In realtà, una notevole letteratura scientifica suggerisce che la variabilità solare ha un forte influsso sul clima della Terra sia direttamente, attraverso variazioni dell’irraggiamento, che indirettamente per mezzo di una modulazione dei forzanti corpuscolari (come i raggi cosmici) che direttamente influenzano la copertura nuvolosa ed altri meccanismi. Qui non è possibile discutere in dettaglio questi dati ma il lettore interessato può studiare la letteratura citata (Connolly et al., 2021). Ad esempio, la Figura 2 mostra l’esistenza di una notevole correlazione tra una ricostruzione dell’attività solare (Steinhilber et al., 2012) e una ricostruzione della variazione climatica degli ultimi 2000 anni (Ljungqvist, 2010). Si notano periodi caldi con una cadenza millenaria (Periodo Caldo Romano, Periodo Caldo Medioevale e Periodo Caldo Contemporaneo) in corrispondenza con i periodi di più elevata attività solare e periodi freddi (i Secoli Bui, e la Piccola Era Glaciale) in corrispondenza con i periodi di minore attività solare. Tuttavia, le ricostruzioni modellistiche dell’ultimo millennio non riproducono, ad esempio, il riscaldamento medioevale dimostrando così di non avere i meccanismi e neppure i forzanti corretti per interpretare le variazioni climatiche naturali come, per l’appunto, i prolungati periodi di riscaldamento, incluso quello osservato dal 1850-1900 a oggi (Scafetta, 2021c).  

attività solare temperatura
Figura 2: Sincronicità a lungo termine dell’attività solare (Steinhilber et al., 2012) e dello
sviluppo della temperatura (emisfero settentrionale non tropicale) (Ljungqvist, 2010) negli
ultimi 2000 anni.

Infatti, le sequenze climatiche appaiono strettamente correlate a quelle solari per millenni (es: Kerr, 2001; Neff et al., 2001; Scafetta, 2009, 2013, 2021c; Steinhilber et al., 2012 e molti altri). L’origine astronomica delle variazioni climatiche deriva dal fatto che queste appaiono caratterizzate da tutta un serie di oscillazioni che appaiono o nelle serie solari o tra quelle mareali. Queste analisi sono state introdotte ad esempio in Scafetta (2010, 2013). Riassumiamo ora i principali risultati relativi al record della temperatura superficiale globale dal 1850 al 2021. Ai cicli decennali e multi-decennali si aggiungono dei cicli secolari e millenari. Le Figure 3A e 3B confrontano le analisi tempo-frequenza tra la velocità del Sole rispetto al centro di massa del sistema solare e le registrazioni della superficie globale di HadCRUT (Scafetta, 2014). Il record astronomico è stato scelto perché contiene le principali oscillazioni astronomiche del sistema solare. Dal confronto, si vede che le oscillazioni della temperatura superficiale globale imitano diversi cicli astronomici dalle scale decennali a quelle multi-decennali, come notato per la prima volta in Scafetta (2010). I periodi astronomici principali riscontrati nella velocità del Sole (Figura 3A) sono a circa 5.93, 6.62, 7.42, 9.93, 11.86, 13.8, 20 e 60 anni. La maggior parte di essi sono legati alle orbite di Giove e Saturno. I periodi principali in cui è stato rilevato il record di temperatura (Figura 3B) sono a circa 5.93, 6.62, 7.42, 9.1, 10.4, 13.8, 20 e 60 anni. Come si vede, la maggior parte dei periodi di temperatura coincidono con quelli dell’oscillazione solare, con l’eccezione dei cicli di 9.1 e 10.4 anni. Il periodo di 9.1 anni manca tra le principali frequenze planetarie mostrate nella Figura 3A. Scafetta (2010) ha tuttavia notato che questa oscillazione è probabilmente legata a una combinazione tra il periodo di rotazione della linea absidale lunare di 8.85 anni, la prima armonica dell’eclissi di Saros di 9 anni ciclo e la prima armonica di 9.3 anni del ciclo nodale soli-lunare. Questi tre cicli lunari dovrebbero indurre maree oceaniche equivalenti con un periodo medio di circa 9.1 anni che potrebbero influenzare il sistema climatico modulando la circolazione dell’oceano e dell’atmosfera. Il ciclo di temperatura di 10.4 anni è variabile perché è l’impronta del ciclo solare di 11 anni che varia tra il ciclo mareale di Giove-Saturno (9.93 anni) e quello legato al periodo orbitale di Giove (11.86 anni). Si noti che nella Figura 3B, la frequenza del segnale di temperatura aumenta nel tempo dal 1900 al 2000. Ciò concorda con il ciclo solare leggermente più lungo (e più piccolo) all’inizio del XX secolo e più corto (e più grande) alla sua fine. Questi risultati sono stati usati per lo sviluppo di un modello climatico semi-empirico basato sui diversi cicli astronomicamente identificati. Il modello originale includeva il ciclo soli-lunare di 9.1 anni, i cicli astronomico-solare di 10.5, 20, 60, 115 anni e un ciclo asimmetrico di 981 anni che presenta un minimo intorno a 1700 (il Grande Minimo solare di Maunder) e massimi nel 1080 e nel 2060. Il modello è stato completato aggiungendo gli effetti vulcanici e le componenti antropiche dedotte dalla previsione media dell’insieme dei modelli di circolazione globale CMIP5 dove è stata ipotizzata una sensibilità climatica all’equilibrio dimezzata (ECS) al forzante radiativo. L’ipotesi di una ECS ridotta a circa 1.5°C dalla media del modello di circa 3°C è stata necessaria perché le oscillazioni decennale naturali individuate ricostruiscono già almeno il 50% del riscaldamento osservato dal 1970 al 2000. Infine, lo stesso modello è stato implementato con i cicli climatici di frequenza più alta (Scafetta, 2021c). I risultati sono illustrati nelle Figure 3C e 3D. Il pannello C mostra il record della temperatura superficiale globale di HadCRUT (Morice et al., 2012) rispetto alle simulazioni medie dell’insieme prodotte dai modelli di circolazione globale CMIP6 utilizzando i forzanti storici (1850-2014) continuata con tre diversi scenari di percorsi socioeconomici (SSP) (2015-2100) (Eyring et al., 2016). Il pannello 3D mostra lo stesso record di temperatura rispetto al modello armonico semiempirico proposto nelle stesse condizioni di forzatura climatica. Il confronto tra i pannelli 3C e 3D mostra che il modello armonico semiempirico ha prestazioni significativamente superiori rispetto a quelle dei modelli CMIP6. Inoltre, usando i modelli CMIP6 la soglia di riscaldamento di 2°C verrebbe superata già nel 2035-2045 (Figura 3C), il che conferma che l’attuale allarmismo climatico (sostenuto dall’IPCC e da attivisti politici come Albert Arnold Gore, Greta Thunberg e molti altri) si basa sulle simulazioni climatiche di questi modelli. Al contrario il modello astronomico semi-empirico prevede un riscaldamento moderato per i decenni futuri, come dimostrato in dettaglio da Scafetta (2013, 2021c). E contraddice l’allarmismo climatico contemporaneo.  

In conclusione, i modelli CMIP6 utilizzati per le previsioni future promosse anche dall’IPCC e la selezione dei dati solari e climatici usati per tali simulazioni e per la loro validazione fanno sì che la componente naturale del cambiamento climatico (come quella indotta dal sole) sia minimizzata mentre, al contempo, quella antropica è massimizzata. Una analisi inadeguata delle incertezze presenti nella letteratura a sfavore della variabilità climatica naturale genera un’artificiale emergenza climatica come risulta dalla Figura 3C. Al contrario, un maggiore impatto della variabilità naturale implica che la vera sensibilità climatica all’aumento della CO2 è bassa. Conseguentemente, nei prossimi decenni il riscaldamento climatico aspettato dovrebbe essere moderato (Scafetta, 2013; Scafetta, 2021a). Questa eventualità implica anche che le politiche di adattamento climatico dovrebbero essere sufficienti per affrontare eventuali problemi che potrebbero sorgere a livello regionale e che, in ogni caso, le politiche di mitigazione climatica potrebbero avere solo modestissimi risultati in quanto il clima continuerebbe ad essere determinato in modo non trascurabile dall’attività solare e da vari cicli naturali”. 

Figura 3: [A] Frequenze astronomiche usando la velocità del
Sole rispetto al baricentro del sistema solare. [B] Frequenze
climatiche usando la temperatura globale superficiale
(HadCRUT) (Scafetta, 2014). [C] Confronto tra le simulazioni
medie dei modelli CMIP6 per diversi SSP (scenari di emissioni
future) e il record di temperatura superficiale globale HadCRUT.
[D] Confronto con il modello climatico solare-astronomico
proposto per la prima volta in Scafetta (2010, 2013) e aggiornato
con più armoniche e le GCM CMIP6 (Scafetta, 2021c).

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