Contributo delle scienze geologiche alla conoscenza delle variazioni climatiche del passato

Le Scienze Geologiche, in quanto consentono di indagare sulla storia del nostro Pianeta, forniscono dati utili per valutare i cambiamenti climatici: la conoscenza del passato per tentare di prevedere il futuro
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Geologia e Paleontologia consentono di indagare sul passato a partire dalla “nascita” del nostro Pianeta, circa 4-5 miliardi di anni fa. Questo è possibile dalla lettura della immensa biblioteca che la Natura ci mette a disposizione, in cui la Terra ha scritto la propria storia in un libro grandioso. Questo libro è costituito dalle potenti successioni di rocce stratificate; ogni strato è una pagina del grande libro della Natura, un vero e proprio grandioso archivio naturale. I geologi hanno fatto fatica a comprendere la scrittura della Natura, a leggere e ricostruire la storia della Terra. Tuttora, pur avendo le scienze geologiche fatto innumerevoli progressi per comprendere i “geroglifici” tramandati dalla Natura, ci sono in atto ricerche molto sofisticate per capire ogni dettaglio della storia del passato. 

Questa capacità di lettura ha spinto i geologi, sin dal secolo 1800, a tentare di raccogliere informazioni anche sulle eventuali modificazioni climatiche avvenute nel nostro pianeta. 

Il mezzo di lettura, all'inizio di questa ricostruzione storica, era basato principalmente sulla valutazione delle caratteristiche litologiche delle pagine del libro della Natura, cui ben presto si associarono le indagini paleontologiche, ossia le indagini sui fossili contenuti nelle rocce stesse. 

Fu così che nella prima metà del 1800 fu perfezionata la Teoria Glaciale, secondo la quale nel passato si sono succeduti vari periodi freddi con ghiacciai molto più estesi rispetto ad oggi, intercalati a periodi caldi. Furono così individuate più “ere glaciali” all'interno delle quali si sono succeduti ciclicamente periodi glaciali e interglaciali. L'ultima era glaciale è il Quaternario, iniziato circa 1,81 milioni di anni fa. 

A queste conclusioni si era pervenuti con lo studio dei “prodotti” litologici dei ghiacciai, in particolare delle morene e delle varve, e delle morfologie legate alle attività dei ghiacciai stessi. 

Le morene corrispondono all'accumulo dei detriti (da piccoli frammenti a massi), trasportati dai ghiacciai ed accumulati sul fronte degli stessi. Le varve invece si depositano nei bacini dei laghi alimentati dalle acque di scioglimento. 

Un deposito di varve ha una particolare caratteristica, è costituito da straterelli centimetrici bianchi e neri; il sedimento bianco corrisponde al deposito estivo, quello nero a quello invernale. Lo spessore delle varve è in relazione al clima dell'anno in cui si sono formate; annate calde spessore maggiore, annate fredde spessore minore. 

È evidente che una coppia bianco-nera corrisponde ad un deposito di un anno. In questo modo, contando le coppie, si può risalire agli anni di attività di un ghiacciaio ed avere informazioni precise sulla loro età. Con questo metodo furono ottenuti risultati interessanti, come può osservarsi in fig. 1.  

Sul finire della prima metà del secolo scorso, la lettura delle rocce si è arricchita di una nuova metodologia che ha dato via via risultati sempre più brillanti. Si tratta delle analisi geochimiche sugli isotopi, soprattutto ossigeno e carbonio, contenuti nelle rocce e nei gusci dei fossili (soprattutto microfossili) presenti nelle successioni sedimentarie. In fig. 2 è riportata la variazione del rapporto isotopico dell'ossigeno ricavata dallo studio di successioni marine depostesi in aree oceaniche negli ultimi 70 milioni di anni. Si può notare che dopo il massimo termico al passaggio Paleocene-Eocene (PETM), la temperatura è andata gradualmente diminuendo fino ai valori attuali. Il PETM è uno degli episodi di riscaldamento globale più intenso nella storia della Terra, avvenuto circa 55 milioni di anni fa. Durante tale episodio le temperature delle acque oceaniche erano superiori di circa 5°C ai Tropici e di circa 9°C alle alte latitudini rispetto ad oggi. 

Negli ultimi decenni, lo studio dei cambiamenti climatici si è arricchito di una nuova metodologia ad opera soprattutto di Ortolani e Pagliuca (1994, 1995 e 2000); si tratta di analisi stratigrafiche di successioni molto recenti depostesi in aree archeologiche. Si è così affermata la geo-archeologia che ha consentito di avere informazioni sul clima relative agli ultimi 2.500-3.000 anni.  

Depositi di origine alluvionale che seppelliscono reperti archeologici sono significativi di periodi freddo-umidi; depositi di sabbie eoliche al contrario sono indicativi di periodi caldi. In questi casi la geologia permette di risalire al tipo di clima, mentre l’archeologia, attraverso l’età dei reperti archeologici, all’età in cui si è verificato tale seppellimento. Gli Autori hanno sintetizzato i risultati delle loro ricerche in tutto il bacino mediterraneo così come segue: 

PERIODI FREDDO-UMIDI 

1500-1850 circa         Piccola età Glaciale 

500-700 d.C. circa      Piccola Età glaciale alto-medioevale 

520-350 a.C. circa      Piccola età glaciale arcaica 

PERIODI CALDO-ARIDI 

1100-1270 circa         Medioevo (Periodo Caldo Medioevale) 

100 (150)-350 d.C.    Effetto Serra Romano

Lo studio condotto mediante perforazioni nelle calotte glaciali ha consentito di avere informazioni su intervalli di tempo più recenti. Si veda in proposito la fig. 3 che mostra la curva paleoclimatiche degli ultimi 400 mila anni; le fasi calde hanno una durata di circa 10-12 mila anni, quelle fredde di circa 90-100 mila anni. L'ultima fase calda è iniziata circa 11.500 anni fa; è l'Olocene che stiamo vivendo. Se il nostro Pianeta si dovesse comportare come negli ultimi 400 mila anni, dopo la fase calda olocenica si dovrebbe passare ad una nuova fase fredda.

La fase calda precedente all’Olocene attorno ai 130000 anni fa, è nota come Eemiano; in questo periodo in Inghilterra meridionale sono stati riscontrati in depositi lacustri resti di Ippopotami, Leoni, Elefanti, Scimmie. È evidente che in quel periodo il clima era molto più caldo rispetto ad oggi permettendo la diffusione di una fauna attualmente presente nella parte centrale dell’Africa. 

Enrico Bonatti, geologo di fama internazionale, scrisse un articolo apparso su Le Scienze del 1° maggio 2009, dal titolo: “Tutti guardano al Sole, ma la colpa del surriscaldamento è anche sottoterra”. Bonatti sottolinea l’importanza della tettonica a zolle nella evoluzione del clima della terra. Come noto, a cavallo del Paleozoico e Mesozoico, circa 290 milioni di anni fa, nel nostro    Pianeta esisteva solo un supercontinente, la Pangea, circondata da un unico oceano, la Pantalassa. Successivamente la Pangea si frammentò in vari blocchi, le placche, che, come zattere, galleggiano sopra la sottostante astenosfera (figura 4).

Dal movimento delle placche si generò la attuale configurazione del nostro Pianeta. In particolare (figura 6) quando due placche si allontanano si creano strutture chiamate dorsali medio oceaniche, in corrispondenza delle quali i magmi risalgono in superficie e favoriscono un intenso vulcanismo che innesca un riscaldamento globale con aumento della temperatura superficiale degli oceani fino a 5-6 gradi.  

La superfice terrestre è attraversata da oltre 60.000 km di dorsali oceaniche; le più importanti sono la dorsale pacifica, la dorsale atlantica, la dorsale indiana. Sono zone con alto flusso di calore; possono emergere come in Islanda o trovarsi a 4.000 metri di profondità come nel bacino di Cayman nel mare caraibico. La dorsale medio atlantica è la più lunga catena montuosa della terra, in gran parte sommersa, che va dal Polo Nord fino all’Antartide seguendo più o meno la linea mediana tra la placca europea-africana e quella americana.  

Quando due placche si scontrano (figura 6) possono generare le catene montuose oppure, e questo è il caso che più ci interessa, se una è più pesante sottoscorre all’altra secondo un piano di subduzione. In questo caso la zolla si inabissa fino a profondità di circa 700 km; qui le rocce fondono e grandi quantità di magma risalgono in superficie originando un diffuso vulcanismo.

In corrispondenza delle zone di subduzione si originano le fosse oceaniche. Sono note 27 fosse oceaniche che raggiungono notevoli profondità. Così, ad esempio, la fossa delle Aleutine estesa per circa 3.000 km tra la placca nordamericana e quella pacifica che subduce sotto la prima, raggiunge la profondità di circa 7.800 metri. La fossa delle Marianne, tra la placca pacifica che subduce sotto la placca delle Marianne, è profonda oltre 10.300 metri e lunga 2.500 km. Famosa è la “cintura di fuoco” estesa per circa 40.000 km intorno all’Oceano Pacifico a forma circa a ferro di cavallo, sede di circa il 90% dei terremoti e del 75% delle eruzioni vulcaniche. È dovuta a movimenti delle placche tra loro in subduzione. 

Questa rapida rassegna della tettonica delle placche dimostra che nel nostro Pianeta sono presenti fenomeni sempre in attività che generano calore, come nel caso delle dorsali medio oceaniche, o rilevanti attività vulcaniche che si associano alla formazione di fosse oceaniche. Questa attività non può non avere influenza sulle variazioni del clima e anche del livello del mare condizionato dalle fosse oceaniche. Per quest’ultimo aspetto è interessante notare che circa 20.000 anni fa, il livello del mare era più basso dell’attuale di circa 140 metri. Così, ad esempio, il delta del Po sfociava davanti Pescara. Tra 20.000 e 10.000 anni fa il livello del mare è risalito di circa 100 metri, ossia in piena fase fredda prima dell’arrivo dell’Olocene, segno evidente che non può solo dipendere dal riscaldamento globale del nostro Pianeta, come continuamente affermato dai profeti di catastrofi che fanno previsioni allarmistiche sulla scomparsa di aree costiere. Del resto, durante il Medio Evo, circa tra il 900 e il 1.300, la temperatura del nostro Pianeta era superiore a quella attuale di almeno 2 gradi centigradi, eppure non avvennero tutte le catastrofi costiere che invece vengono affermate dai catastrofisti.  

Quanto fin qui riferito dimostra quanto siano numerose le cause che controllano il clima del nostro Pianeta; attribuire solo alla immissione della anidride carbonica in atmosfera da parte dell’uomo la causa del riscaldamento globale appare veramente insostenibile. 

Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) 

Come ampiamente noto l’IPCC è l’organismo fondato dall’ONU per lo studio dei cambiamenti climatici, in particolare per documentare la responsabilità dell’’attività antropica nei confronti dell’attuale riscaldamento globale del nostro pianeta. Vi fanno parte numerosi esperti di molte discipline, non solo climatologi ma anche ecomomisti e giuristi. Nel tempo, vari scienziati si sono dissociati dalle attività di questo organismo, che è sembrato adeguarsi a direttive politiche ed ideologiche scientificamente non condivisibili. Così, ad es., si sono dimessi oltre 20 scienziati del clima tra cui ricordo l’italiano G. Visconti, R. Lindzen, C. Landsea, J. Christy, N. Shaviv, D. Evans, Z. Jaworowsky, D. Clarke, C. Alegre, B. Wiskel, D. Bellamy, T. Patterson, ecc.  

Come noto l’IPCC nel report del 1990 pubblicò un diagramma sulle temperature degli ultimi mille anni in cui risultavano ben documentati il Periodo Caldo Medioevale (PCM) e la Piccola Era Glaciale (PEG). Successivamente, nel Report del 2001, l’IPCC cancellò sia il PCM sia la PEG e fece propria la ricostruzione delle temperature del millennio ricostruita da Mann et alii (1998) nota come mazza da hockey (fig.7). In questo modo appariva molto convincente la correlazione dell’aumento delle temperature nel nostro Pianeta a partire dal 1850 con l’era industriale ed in particolare con l’aumento in atmosfera dei cosiddetti gas serra, CO2 soprattutto. 

La mazza da hockey di Mann et alii fu criticata da vari Autori, in particolare da McIntyre McKitric (2003, 2005), A. Montford (2009). Ricordo anche le precise critiche mosse da Z. Jaworowzki in particolare con note del 2007, in cui si parla del “più grande scandalo scientifico del nostro tempo” in riferimento alla CO2, e con le note del 2010. 

In una nota di Crescenti e Mariani (2010) viene sottolineato il clamoroso falso della mazza da hockey di Mann et alii (1998) e Mann e Bradley (1999), fatto proprio dall’IPCC nel Report del 2001 in cui si dichiarava: “… le conoscenze attuali non consentono di sostenere che possano essere esistiti periodi globalmente sincroni di particolare caldo o freddo su tutto il globo terrestre ed i termini periodo caldo medioevale e piccola era glaciale hanno dei significati limitati e non possono essere ascritti a tutto il globo terrestre”. Se la mazza da hockey è stato un falso, ancora più falsa è questa dichiarazione dell’IPCC. Vediamo subito il perché. E’ però bene tenere presente il motivo di tale affermazione: durante il PCM la temperatura è stata almeno di 1-2 gradi C superiore all’attuale quando la CO2 in atmosfera non era così abbondante come oggi. Ciò non confermava la correlazione CO2-temperatura. Non solo, ma durante il Medio Evo non si sono riscontrate tutte le catastrofi annunciate dai sostenitori del riscaldamento globale di origine antropica, come desertificazioni di aree, inondazioni lungo le coste, e così via. Il PCM è una verità scomoda per l’PCC. 

L’esistenza a livello globale sia del PCM sia della PEG è invece dimostrata da numerose ricerche, fornite soprattutto dalla scienza storica del clima e dalle discipline geologiche. 

La storia del clima fornisce una poderosa documentazione sul clima del passato. Cancellare ad es. il PCM significa cancellare decenni di ricerca storica approfondita, come ad es. riferisce A.V. Cerruti (2012). 

Per quanto riguarda la PEC, un significativo contributo sulla sua esistenza viene da un interessante lavoro di Vallefuoco et alii (2011) basato sullo studio del contenuto di foraminiferi planctonici e bentonici da carote prelevate nel golfo di Salerno. Viene ricostruita la variazione climatica degli ultimi 500 anni. Gli autori inoltre concludono: “The climatici oscillations recorded by foraminiferal assemblages  suggest a possible connections between  changes in solar activity and seasonal hydrogeological patterns.” 

Ulteriori documentazioni della esistenza del PCM e della PEG si hanno in Matul et alii (2007) che riferiscono sui dati ottenuti dallo studio di carote prelevate nel mare Artico russo, Laptev Sea per la precisione, sulla base della presenza di diatomee, foraminiferi e pollini, Oppo et alii (2009) su carote prelevate nei pressi dell’Indonesia e studiate per il contenuto di foraminiferi, Adhikari e Kumon (2001) su carote prelevate presso il lago Nakatsuma in Giappone, Miller et alii (2009) su campioni prelevati nel lago di Aterne in Francia, ecc. Infine per quanto riguarda il PCM una globale documentazione si ha in R. Kipp, 2009.  

Appunti sui ghiacciai 

Nel volumetto curato nel 2010 dal Ministero dell’Ambiente e dalla Società Meteorologica Italiana in tema di clima si nota la totale adesione alle opinioni dell’IPCC. In fatto di ghiacciai, a pag. 13, afferma nel paragrafo “Ghiacciai: in ritiro ovunque” che i ghiacciai non sono “mai stati ridotti come oggi da almeno 5000 anni”. E’ una affermazione non corretta in quanto nel PCM i ghiacciai sono stati più ridotti rispetto ad oggi. Lo dimostra il lavoro di U. Monterin (1937). Inoltre nessun riferimento viene fatto sull’avanzata, tra il 1962 e il 1990, di numerosi ghiacciai nella Alpi durante l’attuale fase di riscaldamento (A.V. Cerutti, 2012). Anche Baroni (2010) riferisce sulla avanzata di ghiacciai nelle Alpi tra il 1970 e il 1990 (fig. 8). 

Importanti sono i dati forniti da A. V. Cerutti (2012). In particolare l’Autore riferisce sulle variazioni climatiche degli ultimi 190 registrate presso l’ospizio del Gran San Bernardo, alla quota di 2448 m, ove nel settembre del 1817 entrò in funzione una delle più antiche stazioni di meteorologiche d’Europa, che da oltre 200 anni raccoglie giornalmente i dati termo-pluviometrici. “Studiando questa preziosa serie di dati ci si rende conto che in questi ultimi 160 anni, si sono susseguite ben 11 fasi di segno opposto, con considerevoli variazioni di temperatura. La cosa diventa anche più evidente se ai dati metereologici si accostano quelli delle variazioni dei ghiacciai, che sono i migliori evidenziatori del comportamento del clima.” 

Nella fig. 9 sono riportate le 11 fasi climatiche e i dati sulle espansioni dei ghiacciai nel 1883, nel 1913 e nel 1962. “Le prime due avvengono all’inizio dell’era industriale quando ancora la concentrazione dell’anidride carbonica era poco accentuata. Per la terza, invece, che comincia al principio degli anni Sessanta e si protrae per ben 28 anni, siamo ormai nel pieno dell’era industriale e l’effetto serra dovrebbe essere assai intenso. Come si può spiegare questa fase fredda che provoca l’espansione di tutti i ghiacciai delle Alpi causando un allungamento delle lingue vallive di diverse centinaia di metri? (Ad esempio: m. 764 per il Lex Blanche, m. 470 per la Brenva, in territorio italiano; m. 500 per il Bosson, m. 350 per l’Argentiere, in territorio francese; m. 400 per il Trient, in territorio svizzero).” 

Quanto riferito dimostra senza ombra di dubbio che non c’è correlazione tra l’aumento della temperatura e le variazioni del clima. 

Conclusioni 

Questa rapida rassegna sulla storia del clima del nostro Pianeta condotta mediante i risultati delle ricerche messeci a disposizione dalle Scienze Geologiche dimostrano che il clima nel nostro Pianeta è sempre cambiato, con il succedersi di periodi freddi e periodi caldi. All'interno dei vari periodi si sono verificate oscillazioni continue; durante i periodi freddi si sono verificate fasi calde, e viceversa. 

Appare evidente che le Scienze Geologiche, in quanto consentono di indagare sulla storia del nostro Pianeta, forniscono dati utili per valutare i cambiamenti climatici: la conoscenza del passato per tentare di prevedere il futuro. Non vi è dubbio che stiamo assistendo ad un riscaldamento globale del nostro Pianeta; ma anche che esso sia di origine naturale, ossia faccia parte della naturale evoluzione climatica che sempre in passato ha caratterizzato la storia del nostro Pianeta. Se consideriamo le variazioni climatiche degli ultimi 400 mila anni, sulla base dello studio delle carote di ghiaccio prelevate in Antartide, possiamo notare che si sono alternati periodi freddi più freddi, della durata di circa 90 mila anni, e periodi più caldi della durata di circa 10 mila anni. Attualmente ci troviamo in una fase calda, l’Olocene, iniziata circa 11.500 anni fa. Se la Natura si dovesse comportare come nel passato, siamo prossimi all’esaurimento di questa fase calda e dovremmo entrare nei successivi 90 mila anni circa più freddi. D’altro canto, se consideriamo le variazioni climatiche delle ultime migliaia di anni rileviamo che nell’ultimo millennio si sono alternate fasi calde e fasi fredde. In particolare tra il 1100 e il 1400 circa è noto e documentato l’optimum climatico medioevale (Periodo Caldo Medioevale) che, dopo un periodo di transizione, è stato sostituito dalla Piccola Età Glaciale sviluppatasi tra il 100 e il 1850. Successivamente siamo entrati in una fase calda, tipo quella medioevale, che è appunto quella che stiamo vivendo. 

Inoltre è documentato che non esiste una correlazione tra l’aumento della anidride carbonica e le variazioni climatiche.  Si può così affermare che “La Natura, non l'attività dell'Uomo, governa il clima” (Fred Singer et alii, 2009). 

Opere citate 

Adhikari D.P., Kumon F: 2001 – Climate changes during the past 1300 years as deduced from the sediments of lake Nakatsuna, central Japan. Atti limnology, vol 2, n.3. 

Baroni C., 2010 – La risposta dei ghiacciai alpini alle variazioni climatiche. Geoitalia. N.32, pag.50. 

Bonatti E., 2009 – Tutti guardano al sole, ma la colpa del surriscaldamento è anche sottoterra. Le Scienze, maggio 2009. 

Cerutti A.V., 2012 – Storia del clima in Valle D’Aosta. Atti Convegno Clima, quale futuro? Università G. d’Annunzio Chieti-Pescara, 21 secolo, pp.27-51. 

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