Un nuovo studio pubblicato sul New England Journal of Medicine (NEJM) invita ad abbandonare l'eccessiva fiducia negli integratori di vitamina D, spesso raccomandati per la salute delle ossa nella popolazione generale e per la prevenzione delle fratture. I ricercatori del Brigham and Women's Hospital di Boston, negli Stati Uniti, hanno voluto testare, su persone senza particolare carenza di vitamina D e senza osteoporosi, se la supplementazione di vitamina D3 possa proteggere dalle fratture rispetto al placebo.
Dalla ricerca è emerso che la vitamina D3 supplementare, rispetto al placebo, non ha avuto un effetto significativo sulle fratture totali, che si sono verificate in 769 su 12.927 partecipanti nel gruppo che assumeva vitamina D e in 782 su 12.944 partecipanti che assumevano placebo. Inoltre, non sono state rilevate variazioni dell'effetto in base a età, sesso, gruppo etnico e neppure in base ai livelli di 25-idrossivitamina D nel sangue.
L'integrazione di vitamina D3, hanno concluso i ricercatori, "non ha comportato un rischio di fratture significativamente inferiore rispetto al placebo tra gli adulti di mezza età generalmente sani e negli anziani che non erano precedentemente stati selezionati per carenza di vitamina D, massa ossea ridotta o osteoporosi". Lo stesso studio ha anche rilevato che assumere molta vitamina D non previene nemmeno le malattie cardiache, il cancro o la perdita di memoria.
Nuovo giro di vite all'orizzonte sugli integratori a base di vitamina D
Sulla base di un maxi studio pubblicato ieri sul 'The New England Journal of Medicine', da cui risulta che "su tutti i parametri considerati" la vitamina D sarebbe "priva di effetti utili", è "probabile a breve una revisione della Nota 96 che aveva già determinato un utilizzo più mirato di questo farmaco", producendo "un risparmio di diverse decine di milioni l'anno": è quanto ha affermato Nicola Magrini, direttore generale dell'Agenzia italiana del farmaco, oggi a Roma durante la presentazione del Rapporto Osmed 2021 sull'uso dei medicinali in Italia. Magrini ha auspicato inoltre una "campagna di sensibilizzazione" e "nuovo un lavoro più stretto con le Regioni sull'ambito dell'appropriatezza" prescrittiva, "uno dei più importanti". La ricerca apparsa su 'Nejm', "una delle più autorevoli riviste" scientifiche internazionali, è "uno studio molto importante, il più ampio mai condotto". Ha coinvolto "oltre 40mila persone", indagando "sull'efficacia della vitamina D assunta per 5 anni" con l'obiettivo di incidere su un'ampia serie di parametri: fratture, massa ossea, massa adiposa, infarti, ictus, fibrillazione atriale, funzione cognitiva, tumori, ha spiegato il Dg Aifa. Un'integrazione a base di vitamina D "è purtroppo risultata priva di effetti utili da tutti i punti di vista". Tanto che, in "un editoriale di accompagnamento" firmato da "alcuni noti studiosi di osteoporosi", gli esperti hanno concluso che "non si può più parlare di insufficienza di vitamina D se non in casi estremi, che non ha senso misurare i livelli ematici di vitamina D come si faceva e si fa, e che le persone dovrebbero smettere di assumere supplementi di vitamina D per prevenire malattie importanti o estendere la durata della vita". "A mio avviso – ha proseguito il direttore generale – questo avrà un impatto anche su una probabile nostra revisione della Nota 96, a breve", in modo da migliorare l'appropriatezza d'uso di "questo farmaco per il quale erano state vantate anche proprietà a mio avviso immaginifiche rispetto a Covid, proprietà che non ha". Un farmaco che, in generale, "viene usato profilatticamente nella credenza che prevenga infezioni, stimoli il sistema immunitario, o faccia bene a tutta una serie di altre cose". "Questo studio così ampio ha valutato tutto questo, concludendo che non vi sono effetti positivi" della vitamina D "su nessuno di questi parametri", ha ribadito Magrini, sottolineando che "la Nota 96 ha avuto un effetto molto positivo", pur "con alcune Regioni decisamente più virtuose nell'averla adottata e altre meno".