Una valutazione dei rischi climatici affrontati da quasi 25.000 specie marine rivela che quasi il 90% di esse è a rischio elevato o critico in scenari di emissioni elevate fino al 2100. I risultati, presentati in uno studio di modellizzazione in Nature Climate Change, potrebbero aiutare a stabilire la priorità degli sforzi di conservazione.
Il cambiamento climatico sta guidando il cambiamento ecologico e la perdita di biodiversità, rendendo necessarie strategie per comprendere i rischi allo scopo di dare priorità alle risposte. Per ottenere il massimo valore gestionale, le valutazioni del rischio climatico dovrebbero essere radicate empiricamente e spazialmente esplicite, in maniera tale da prendere in considerazione le mutevoli condizioni climatiche, nonché la suscettibilità e l’adattabilità delle specie.
Daniel Boyce e colleghi valutano il rischio climatico previsto per 24.975 specie marine in tutto il mondo, inclusi animali, piante, cromi, protozoi e batteri che abitano i 100 metri superiori degli oceani. In scenari di elevate emissioni di gas serra (IPCC shared socio-economic path scenario (SSP) 5-8.5), entro il 2100, si prevede che quasi il 90% delle specie sperimenterà un rischio elevato o critico di non essere in grado di sopravvivere nel loro attuale habitat in una media dell’85% della loro distribuzione geografica. Gli autori rivelano che un decimo dell’oceano ha aree combinate di alto rischio climatico, endemismo (dove le specie si trovano in poche località) e minaccia di estinzione per le specie. Le minacce sono maggiori per le specie di predatori più grandi, in particolare quelle raccolte per il cibo (come specie di pesci palla, tonni e squali) e nei paesi a basso reddito con un’elevata dipendenza dalla pesca. La mitigazione delle emissioni (in uno scenario SSP1-2.6) entro il 2100 potrebbe ridurre il rischio per quasi tutte le specie esaminate, migliorare la stabilità dell’ecosistema e avvantaggiare in modo sproporzionato le popolazioni con insicurezza alimentare nei paesi a basso reddito, prevede il team.
Gli autori concludono che questi risultati potrebbero essere utilizzati per dare priorità alla conservazione delle specie e degli ecosistemi marini vulnerabili come parte di strategie di gestione orientate al clima, considerando l’importanza della variazione geografica e della posizione dell’habitat.