“L’Amazzonia vive il suo peggior momento”: i nativi di 9 Paesi dichiarano l’”emergenza climatica”

La devastazione senza precedenti causata dai governi della regione ha spinto i popoli originari dei 9 Paesi del bacino dell’Amazzonia a dichiarare lo stato di "emergenza climatica"
MeteoWeb

L'Amazzonia, la più grande foresta pluviale del mondo, vive "il suo peggior momento, devastata dai governi, per i quali la natura è una merce e i diritti delle persone non sono importanti". È su queste basi che i popoli originari dei 9 Paesi del bacino dell’Amazzonia hanno dichiarato uno stato di “emergenza climatica”. La decisione è stata spinta dalla "devastazione" senza precedenti causata dai governi della regione e nell'ottica di favorire un "cambio di paradigma" nella difesa della foresta.  

L'annuncio è contenuto nella dichiarazione finale del decimo Foro social panamazonico (Fospa), che si è svolto nella città di Belem, nel nord del Brasile. L'iniziativa ha visto riunirsi per tre giorni, fino alla scorsa domenica, rappresentanti nativi provenienti da Brasile, Perù, Bolivia, Venezuela, Colombia, Ecuador, Suriname, Guyana francese e Guyana.  

Secondo i dati del Monitoring of the Andean Amazon Project (Maap), un'iniziativa della ong Amazon Conservation Association, solo nel 2020 a causa della deforestazione sono andati persi circa 1,9 milioni di ettari di foresta amazzonica. La dichiarazione dell’emergenza climatica ha lo scopo di "consentire la rinascita attiva e la protezione della biodiversità" della foresta, "in coordinamento con i popoli amazzonici" e nell'ottica di "andare verso un nuovo paradigma di relazione con la natura". Per raggiungere l'obiettivo, si legge sempre nel documento, sarà necessario "trasferire importanti risorse per il ripristino e la cura del bacino", ma anche "la trasformazione del commercio internazionale dei beni dell'economia regionale, favorendo la produzione e la distribuzione di merci che sono compatibili con l'ecosistema amazzonico dal punto di vista climatico e limitando l'esportazione di carne, semi di soia, legno, minerali, idrocarburi e derivati verso i mercati di Europa, Asia e Nord America". 

Nella dichiarazione sono contenute 17 proposte politiche, fra le quali "promuovere l'esercizio dell'autogoverno e dell'autodeterminazione dei popoli nativi", visto che finora "nessun governo della regione ha garantito il pieno esercizio dei diritti dei popoli amazzonici in difesa di Madre Natura".  

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