Clima, Pedrocchi: “le emissioni antropiche di CO2 non sono preoccupanti, decarbonizzazione irrealizzabile”

Clima, Ernesto Pedrocchi spiega perché le emissioni antropiche di CO2 non sono preoccupanti e come per sostituire i combustibili fossili servirebbe una quantità faraonica di eolico e fotovoltaico
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Ernesto Pedrocchi, membro dei consigli d’amministrazione dell’Enea e di Ansaldo nucleare, oggi Professore emerito di Energetica del Politecnico di Milano, ha parlato del tema dei cambiamenti climatici, su cui ha scritto diverse pubblicazioni, in un’intervista rilasciata a La Verità.  

Sul tema dell’origine antropica dei cambiamenti climatici, Pedrocchi ha affermato: “intanto, guardando alla storia quello di oggi è un cambiamento climatico molto modesto. Gli organismi dell’Onu (IPCC, soprattutto) promuovono strategie per la riduzione – fino all’eliminazione – delle emissioni antropiche di CO₂ perché sarebbero, a loro giudizio, responsabili del cambiamento climatico in atto e, foriere di prossimi gravi cambiamenti, fino a minacciare l’abitabilità del pianeta. Si è così arrivati a proporre la decarbonizzazione, cioè la rinuncia all’uso dei combustibili fossili, sostituendoli con fonti rinnovabili, come fotovoltaico ed eolico. In realtà, ci sono forti dubbi di carattere scientifico su tale proposta che sinteticamente segnalo, basandomi su dati verificabili, riportati dalla stessa IPPC”. 

“Il clima globale riguarda tutto il pianeta. La variabile principale per caratterizzarlo è la temperatura globale media, che influisce sulle due principali variabili globali che sono la copertura niveo-glaciale e il livello del mare. Per quanto riguarda l’influenza delle emissioni antropiche di CO₂ sul clima globale, le domande da farsi sono due”, continua Pedrocchi. “La prima: l’aumento della concentrazione di CO₂ in atmosfera, che si rileva con grande attendibilità con le misure in tempo reale solo dal 1958, è dovuto essenzialmente alle emissioni antropiche? A questa domanda si risponde semplicemente analizzando il bilancio della CO₂ in atmosfera. Si constata che fino al 1850 circa, l’aumento della concentrazione di CO₂ in atmosfera, iniziato nel 1700, non può che essere stato di origine naturale, in quanto le emissioni antropiche erano praticamente nulle”. 

Da allora le emissioni antropiche hanno iniziato ad aumentare e ora sono circa il 5% del totale (IPCC). Nell’atmosfera oggi si riversa il 95% di emissioni naturali in massima parte dagli oceani e il resto dalla terra ferma: solo il 5% è di origine antropica! Anche il flusso uscente, leggermente minore della somma dei due flussi entranti per via dell’aumento della concentrazione di CO₂ nell’atmosfera – che è passato, dal periodo preindustriale ad ora, da circa 300 a circa 400 ppm (parti per milione) – non può non avere la stessa proporzione tra antropico e naturale che ha il flusso entrante. Questo per il semplice fatto che le molecole di CO₂ di origine naturale o di origine antropica sono eguali, e l’atmosfera non può distinguerle né in entrata, né in uscita”, ha dichiarato Pedrocchi. 

La seconda domanda sull’influenza delle emissioni antropiche di CO₂sul clima globale è “l’aumento di concentrazione di CO₂ in atmosfera ai livelli attuali è causa di aumento della temperatura globale media? Per rispondere, si può osservare che secondo lo stesso IPCC, la crescita della temperatura globale media in funzione della concentrazione di CO₂ in atmosfera è in continua attenuazione e ormai ai livelli attuali di circa 400 ppm l’effetto è molto piccolo, come risulta da più di un centinaio di lavori scientifici. Insomma: un ulteriore aumento di CO₂ non comporta alcun significativo aumento di temperatura (tecnicamente si parla di saturazione). Inoltre si constata che l’aumento di concentrazione di CO₂ è praticamente eguale nei due emisferi terrestri, mentre è scientificamente accertato – fra l’altro da misure di prodotti radioattivi emessi nell’emisfero Nord negli anni ‘50 e ‘60 a seguito di test su bombe “atomiche” – che la barriera equatoriale è piuttosto impervia al miscelamento dell’atmosfera tra i due emisferi”, continua Pedrocchi. 

Non si capisce quindi perché, se l’aumento della concentrazione di anidride carbonica fosse essenzialmente dovuto alle emissioni antropiche, non resti alcun segno della differenza tra i due emisferi. Nel caso del metano – che è un gas prodotto prevalentemente per via antropica nell’emisfero Nord – la differenza di concentrazione tra i due emisferi è ben riscontrabile. Inoltre, diversi rilievi sperimentali dedotti dall’analisi dei carotaggi di ghiaccio nelle zone polari mostrano che in generale è la variazione di temperatura che precede la variazione di concentrazione di CO₂ e non il contrario, come supporrebbe l’ipotesi del riscaldamento globale causato dalle emissioni antropiche di gas serra”, afferma Pedrocchi. 

Dall’insieme di questi dati sperimentali, si evince che le emissioni antropiche di CO₂ esercitano un modesto contributo (circa 5%) sull’aumento della concentrazione di CO₂ in atmosfera e che, alla concentrazione attuale, la variazione di concentrazione di CO₂ esercita un effetto forse neanche misurabile sulla temperatura media globale. Si può concludere che le emissioni antropiche non devono assolutamente preoccupare anche in prospettiva futura”, dice Pedrocchi. 

Obiettivo emissioni zero

Sull’obiettivo dell’Onu e dell’Ue di raggiungere le emissioni zero entro il 2050, l’esperto dice che “questo obiettivo di sostituire l’attuale fabbisogno energetico coperto da combustibili fossili con le fonti rinnovabili comporterebbe, da oggi al 2050, di mettere in funzione ogni giorno (me lo faccia ripetere: ogni giorno!) o 6.000 grandi pale eoliche o 60 chilometri quadrati di pannelli fotovoltaici, o un mix dei due. L’ordine di grandezza di questi numeri mostra che si tratta di obiettivi faraonici e, di fatto, irrealizzabili. Non c’è neppure la speranza di progresso delle rese di questi dispositivi perché essi sono già prossimi al limite fisico teorico. Peraltro, vi è la forte contraddizione di ostracizzare, allo stesso tempo, altri grandi impianti che non emettono CO₂: idroelettrici e nucleare. In ogni caso, il fatto è che allo stato attuale nessun Paese, a fronte di tutte le intenzioni dichiarate negli ultimi 20 anni, sta decarbonizzando alcunché”, spiega Pedrocchi. 

Penso che il principale interesse dietro questa strategia di “stato di paura” da cambiamento climatico – al quale si associa artificiosamente e non senza alcuni risvolti comici, ogni avversità accada sul pianeta – è un interesse politico: l’aspirazione di riuscire ad avviare un governo mondiale. Forse v’è il nobile scopo di lottare contro le diseguaglianze: la lotta alla povertà ha una sua grande valenza importante e indipendente e deve essere perseguita costantemente, ma volerla legare al cambiamento climatico rischia di risultare controproducente. Come possa mai combattersi la povertà impoverendo i Paesi ricchi è per me un mistero. Diversi famosi ambientalisti hanno capito che questa cosa non regge e si sono pronunciati contro la strategia della decarbonizzazione, anzi a favore dell’uso dei combustibili fossili e anche del nucleare. Purtroppo, quasi come fosse un cancro, gli interessi legati alla carbon free economy si sono così ingigantiti e consolidati che non sarà facile fermarli. Se tutte le risorse dilapidate in questi decenni per combattere i cambiamenti climatici fossero state impegnate per combattere la povertà, si sarebbe compiuta un’opera più meritevole e di maggior successo”, conclude Ernesto Pedrocchi. 

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