Uno scienziato dell’Università di Glasgow ha risolto il grande mistero del meteorite di Lafayette, una pietra marziana custodita nella collezione geologica della Purdue University negli Stati Uniti d’America da circa un secolo. La prima prova del fatto che questa pietra “insolita” fosse un incontaminato meteorite marziano arrivò nel 1931, ma non è mai stata ricostruita la sua origine, a partire dal come e quando sia arrivato nella collezione di Prudue.
L’unica testimonianza sulle proprie origini era quella del collezionista di meteoriti americano Harvey Nininger che nel 1935 riportò come uno studente nero della Purdue University vide atterrare questo oggetto in uno stagno dove stava pescando. Ma tutti i precedenti tentativi di confermare questo racconto erano stati inconcludenti. Adesso, invece, un team di investigatori scientifici ha utilizzato tecniche di analisi all’avanguardia combinate a ricerche d’archivio per raccogliere prove sufficienti a dimostrare che questa storia è reale, ed è accaduta nel 1919 o nel 1927.
A svelare il grande mistero è stato lo scienziato planetario dott.ssa Áine O’Brien della School of Geographical & Earth Sciences dell’Università di Glasgow. O’Brien ha frantumato un minuscolo campione del meteorite di Lafayette e ha utilizzato una sofisticata spettrometria di massa per analizzarne la composizione. L’esperto stava cercando di scoprire nuovi dettagli sulla presenza di molecole organiche conservate nel meteorite che potrebbero aiutarci a comprendere le possibilità della vita su Marte. E tra le migliaia di metaboliti rivelati dall’analisi, lo scienziato ne ha notato uno molto legato alla terra: il deossinivalenolo.
Il deossinivalenolo è una “vomitossina” che si trova in un fungo che contamina le colture di cereali come grano, mais e avena. Provoca malattie negli esseri umani e negli animali, e colpisce in modo particolare i suini. Gli esperti con cui la dott.ssa Áine O’Brien si è confrontata le hanno spiegato che il meteorite potrebbe essere stato contaminato da questo metabolita sulla terra una volta precipitato, in quanto poteva essere presente nei corsi d’acqua come lo stagno in cui la pietra era stata ritrovata. E così i ricercatori del Dipartimento di Agraria e del Dipartimento di Botanica e Patologia Vegetale della Purdue University hanno analizzato la prevalenza storica del fungo nella contea di Tippecanoe, nell’Indiana, dove si trova Purdue. I loro registri hanno mostrato che ci sono state due grandi epidemie di questo fungo che hanno provocato un significativo calo dei raccolti proprio nel 1919 e in forma minore nel 1927.
L’analisi degli avvistamenti di “palle di fuoco” nel cielo nello stesso periodo ha fornito ulteriori indizi sui tempi dell’atterraggio del meteorite: nel Michigan meridionale e nell’Indiana settentrionale sono stati segnalati avvistamenti di meteoriti uno il 26 novembre 1919 e uno nel 1927 legato storicamente al meteorite Tilden nell’Illinois.
Contemporaneamente gli archivisti della Purdue University hanno anche esaminato gli annuari del 1919 e del 1927 per trovare studenti neri iscritti all’epoca: hanno trovato Julius Lee Morgan, Clinton Edward Shaw e Hermanze Edwin Fauntleroy, iscritti a Purdue nel 1919, e un quarto uomo, Clyde Silance, che stava studiando a Purdue nel 1927. I ricercatori concludono che è possibile che uno di questi uomini abbia trovato il meteorite nello stagno.
Secondo tutti i dati statistici, quindi, è più probabile che il meteorite di Lafayette sia precipitato nel 1919, ma resta una possibilità che sia precipitato nel 1927. La dott.ssa Áine O’Brien ha concluso che “il meteorite di Lafayette è un campione davvero bellissimo che ci ha insegnato molto su Marte attraverso le ricerche precedenti. E’ così prezioso anche perché è straordinariamente ben conservato, quindi deve essere stato recuperato molto rapidamente dopo l’atterraggio, come suggerisce la leggendaria storia del suo ritrovamento nello stagno. L’insolita combinazione tra il rapido recupero del meteorite e la minuscola traccia di contaminazione che ha avuto durante il suo breve periodo nel fango è ciò che ha reso possibile questo lavoro. Sono orgogliosa del fatto che un secolo dopo aver raggiunto la Terra, siamo finalmente in grado di ricostruire le circostanze del suo atterraggio e avvicinarci di quanto non siamo mai stati prima a dare credito allo studente nero che l’ha trovato“.