Una scossa di terremoto di magnitudo 2.1 ha colpito Roma nella notte, precisamente alle ore 23:39 con epicentro nella zona Torrenova, appena fuori il grande raccordo anulare a sud/est dal centro della città. La scossa s’è verificata a 10.2km di profondità ed è stata distintamente avvertita da migliaia di persone, in quanto l’epicentro s’è verificato in una zona molto densamente abitata.
Appena un minuto prima, alle 23:38, un’altra scossa di terremoto di magnitudo 2.0 a 9.0km di profondità aveva interessato la periferia est di Roma Sud, con epicentro tra Tor Vergata e Borghesiana.
Una terza scossa, più lieve di magnitudo 1.9, si è verificata alle 23:40 ad appena 6.3km di profondità poco più a Nord, tra Borghesiana e Torre Angela.
Quarta scossa di terremoto nella notte romana, alle 23:55, sempre nella zona di Tor Vergata: è stata di magnitudo 2.0 a 8.0km di profondità.
Terremoto: il rischio sismico di Roma
Nella storia a Roma, non si è mai verificato un terremoto di magnitudo superiore a 4.0, ma comunque la città storicamente ha subìto danni significativi al suo patrimonio monumentale ed edilizio a seguito di terremoti sviluppatisi nelle sue vicinanze e soprattutto sull’Appennino. Se tutti concordano sul rischio sismico “modesto” per la capitale in sé, pochi conoscono la storia delle scosse avvertite a Roma e, soprattutto, l’opinione pubblica non comprende a pieno la differenza tra rischio e vulnerabilità.
La sismicità capitolina, pur se limitata e caratterizzata da intensità massime intorno al VI-VII grado della scala MCS, ha infatti da sempre rappresentato un serio pericolo per l’integrità dei monumenti millenari, spesso (in particolare nel Medioevo) trascurati e lasciati senza manutenzione. Ancor più gravi sono i rischi legati alle scosse “risentite”, con epicentri localizzati nei Colli Albani, nel Mar Tirreno e perfino nell’Appennino Centrale che, nonostante disti circa tra i 60 ed i 120 km da Roma, rappresenta la sorgente sismogenetica principale capace di provocare danni anche sensibili nella capitale. A questo proposito la tabella a corredo di questo articolo testimonia a dovere la sismicità storica ed i danni relativi: si noti come il Colosseo (in cui ancora oggi sono visibili lapidi a ricordo dei sismi e retaggi dei crolli passati) sia stato ripetutamente danneggiato da scosse che hanno colpito pure S. Giovanni in Laterano e perfino il Vaticano.
Il problema è acuito da due fattori fondamentali, uno geologico ed uno ingegneristico. La maggior parte di Roma è costruita su depositi alluvionali olocenici del Tevere e dei suoi affluenti. La valle del Tevere è larga oltre due km, ma esistono altre zone edificate su materiali soffici, non consolidati e dalle scadenti proprietà geomeccaniche (Valle della Caffarella al terminal “Ostiense”, Grotta Perfetta, Viale Giustiniano, Valle di Vallerano, ecc.). In condizioni particolari questo tipo di terreni, soprattutto le sabbie, può essere soggetto ad amplificazione dell’onda sismica (liquefazione, densificazione, ecc.) e quindi aumentare a dismisura la potenza distruttrice del terremoto.
Nell’area che va da Ponte Milvio alla Magliana è stato calcolato che gli effetti delle scosse possono amplificarsi anche fino a due volte e mezzo rispetto alle altre zone capitoline. Chi giudica questa ipotesi fantascientifica, farebbe bene a considerare la differenza tra i danni subìti nel corso dei secoli causa le scosse sismiche dalla Colonna Antonina (poggiante proprio su depositi alluvionali) e la Colonna Traiana (edificata su terreni meno amplificabili) così come le lesioni più accentuate della porzione più meridionale del Colosseo rispetto alla parte più settentrionale. Differenze causate proprio dal diverso tipo di terreno su cui poggiano le strutture, anche a poche decine di metri di distanza: esempio tipico di come il terreno possa reagire in maniera diversa al passaggio delle onde sismiche.
L’altro fattore, ancora più grave, è l’enorme espansione urbanistica, spesso sregolata, della capitale nell’ultimo secolo. Secondo un recente studio dell’Anaci (Associazione nazionale amministratori condominiali) a Roma almeno il 35% degli edifici non possiede il certificato di abitabilità. Chi anni addietro aveva tentato, finalmente, un attento censimento dell’edificato, tramite il cosiddetto “fascicolo del fabbricato”, è stato prontamente stoppato, viste evidentemente le magagne che una simile indagine avrebbe rilevato. Roma, ma in generale tutta l’Italia, non è pronta a sopportare le scosse sismiche ed i cittadini (mai predisposte esercitazioni in uffici e scuole) non conoscono la vulnerabilità del loro territorio, questa è la triste verità. In questo contesto, già di per sé complicato, emerge il problema definitivo: da un secolo, esattamente dal 1915, quando si verificò il terribile terremoto di Avezzano, l’urbanizzazione di Roma è stata abnorme e noi non sappiamo come si potrebbero comportare i “nuovi” edifici in caso di un forte sisma appenninico, con magnitudo ben superiore a 6.0. Non lo sappiamo per il semplice motivo perché ignoriamo le caratteristiche costruttive degli edifici stessi e crediamo di non andare lontani dalla realtà asserendo che probabilmente non vi esistono particolari accorgimenti antisismici. Non dobbiamo dimenticare una massima tanto cara ai sismologi: non sono i terremoti ad uccidere le persone, bensì gli edifici costruiti male. Ecco perché il terremoto a Roma rimane un problema sottovalutato.
In un’intervista a MeteoWeb, il geologo e ricercatore dell’Ingv Fabrizio Marra tempo fa ha spiegato che “nessun terremoto con epicentro a Roma ha mai avuto magnitudo superiori a 4. Al massimo, nell’area dei Castelli Romani si può raggiungere magnitudo 4.5, ma non oltre, almeno non è mai successo prima. La sismicità più specifica sull’area di Roma ci indica questo elemento preciso, come abbiamo visto anche l’ultima volta che a Roma c’è stato uno sciame sismico, nel giugno 1995, quando gli epicentri delle scosse furono concentrati nella zona sud e la magnitudo massima fu di 3.6“.
“La sismicità tipica dell’area romana intesa come Roma città, quindi, è molto moderata” conclude Marra, spiegando che “scosse di questo tipo non possono provocare danni seri al patrimonio edilizio, a meno di situazioni di particolare vulnerabilità degli edifici“. E qui entriamo in un argomento che è fondamentale in tutta la vicenda sismica. “E’ un problema – continua infatti l’esperto dell’Ingv – generale, non solo di Roma ma di tutt’Italia e di tutto il mondo. La gente non muore per il terremoto in sè, ma per le costruzioni e per come sono costruiti gli edifici. Il problema più serio di Roma è che non si sa assolutamente, dal dopoguerra in poi, come si comporterebbero gli edifici in caso di terremoti al limite della magnitudo attesa per questa zona“.
Marra, però, ci spiega che il principale rischio sismico di Roma non viene dai Castelli Romani o dalla città in sè, ma da più lontano, da quell’Appennino centrale in cui possono verificarsi scosse molto molto più forti, con ripercussioni anche sulla Capitale.
“Già il terremoto di tre anni fa a L’Aquila è stato molto avvertito in città, ma non ha provocato danni. Dopotutto era di magnitudo 6. Il problema vero è che sull’Appennino centrale possono verificarsi terremoti molto più forti, fino a magnitudo 7 com’è accaduto nel 1915 ad Avezzano. In quell’occasione a Roma non ci furono morti, ma molti danni distribuiti su gran parte della città, soprattutto in alcune zone che poi abbiamo individuato come le valli alluvionali“.
Proprio quello delle valli alluvoinali è il più grande rischio sismico di Roma: “dagli anni ’80 in poi – continua Marra – dopo il terremoto di Messico City, si capì che questi terreni erano in grado di amplificare lo scuotimento del suolo in occasione di terremoti anche lontani. Molte zone di Roma sono costruite sui terreni alluvionali, a partire dalla valle del Tevere che va da Prati a piazza Venezia fino a San Paolo ed è larga oltre 2 chilometri, fino a una serie di valli affluenti da est, non riconoscibili dalla morfologia perchè ormai completamente urbanizzate, come la valle della Caffarella in corrispondenza del terminal “Ostiense”, la valle di Grotta Perfettta e il Viale Giustiniano Imperatore. E poi ancora la Valle di Tre Fonrtna e la Valle di Vallerano. Queste zone sono state intensamente urbanizzate soprattutto negli ultimi 20-30 anni. Non possiamo purtroppo sapere come si comporterebbero tutti gli edifici lì costruiti, perchè non conosciamo le caratteristiche costruittive degli stessi edifici. Circa 10 anni fa a Roma si era previsto di fare un “Fascicolo dell’Edificio”, ma poi i buoni propositi, come spesso accade sono naufragati e non è mai stato fatto. Sostanzialmente il rischio sismico, a Roma come in tutt’Italia, dipende dal fatto che non siamo in grado di fare la stima della vulnerabilità degli edifici, anche se sappiamo quali aree possono amplificare lo scuotimento. Noi possiamo fare una mappatura dei terreni che possono amplificare lo scuotimento, ma manca la parte ingegneristica e strutturistica che è quella più importante, i morti sono sempre causati dalle modalità costruttive degli edifici, come abbiamo visto in Emilia Romagna dove sono crollate sì case antiche, ma anche capannoni modernissimi. Prima di mettere in atto la normativa antisismica bisognerebbe stimare lo scuotimento atteso, a Roma manca questo passaggio intermedio. Nella capitale alcune zone sono classificate come zone ‘A’, altre come zone ‘2B’, riclassificate di recente, ma è una divisione fatta per municipi, non tiene conto della geologia, e francamente non saprei dire nemmeno esattamente qual’è il criterio con cui è stata fatta questa zonazione, e comunque non è sufficiente perchè il problema serio sono le modalità di costruzioni degli edifici. Alcuni palazzi o altri potrebbero risentire delle amplificazioni in modo più o meno significativo, l’incognita di Roma è le modalità con cui si è costruito“.
Marra poi ribadisce che per Roma “il principale rischio sismico viene dall’Appennino: quando forti terremoti, di magnitudo 7, colpiscono l’area al confine tra Lazio e Abruzzo, anche Roma ne risente gravemente. Nel 1915 per fortuna non è successo nulla di gravissimo, ma Roma non era com’è oggi. Oggi è molto più amplificata proprio su quei terreni alluvionali e non consolidati che amplificano lo scuotimento del suolo. Proprio in quelle zone, il terremoto di L’Aquila è stato sentito in modo più significativo che altrove, ed era un magnitudo 6. Secondo me bisognerebbe valutare proprio questo aspetto sugli edifici, come ho già spiegato, per stare più tranquilli. Pensate che sul Viale Giustiniano Imperatore qualche anno fa alcuni edifici costruiti male, con fondazioni inadeguate per quei terreni inconsolidati perchè alluvoinali, si sono addirittura inclinati e alcune persone sono state evacuate dalla loro abitazione. Nacque una cabina di regia per studiare gli eventuali interventi a compere, e noi come Ingv ci eravamo proposti per fare gratuitamente delle indagini in quanto ci interessava capire cosa succedeva su quei terreni, ma ci è stato impedito perchè qualcuno aveva paura che sarebbero venuti fuori scenari allarmistici. Noi comunque tra 2003 e 2004 abbiamo, con il progetto array (vedi immagine a corredo dell’articolo), installato una rete di sismometri nella zona di Varco San Paolo per studiare queste amplificazioni lungo i terreni inconsolidati e alluvionali. Abbiamo messo un sismometro in pozzo e quattro sismometri in superfice. Solo con ulteriori studi più approfonditi su queste aree e soprattutto sulle caratteristiche di costruzione, a Roma potremo dormire sonni più tranquilli…”