“Questo studio è particolarmente importante perché ci permette di comprendere come lo stress indotto dall’impatto ambientale abbia una influenza sul delicato processo di produzione degli spermatozoi. Mentre nella donna le conseguenze di uno stress acuto sono ‘facilmente osservabili’ attraverso, ad esempio, il ciclo mestruale che cambia manifestandosi in modo anticipato, ritardato o interrompendosi del tutto, nell’uomo i cambiamenti a livello ormonale non possono essere intercettati ‘subito’ e in modo così manifesto. Attraverso alcuni test sui partecipanti prima, durante e dopo la spedizione riusciremo a comprendere se uno stress intenso, anche se relativamente breve, sia in grado di ridurre il numero degli spermatozoi e impattare sulla capacità ‘fertilizzante’ degli stessi. Sarà possibile anche comprende in che modo l’altezza, la temperatura, lo sforzo fisico, psichico e l’ipossia siano capaci di influenzare il processo della spermatogenesi. Questo potrebbe accadere perché il corpo, in condizioni di stress, non può fare a meno delle funzioni vitali come ad esempio quelle cardiache e respiratorie a svantaggio di altre ‘non fondamentali’ come quelle legate al tema della fertilità e della riproduzione“: a dirlo è il professor Andrea Garolla, endocrinologo, andrologo e professore associato di endocrinologia presso l’Università di Padova (Unipd) che partecipa al progetto internazionale “Lobuje Peak-Pyramid: Exploration & Physiology 2022” seguito e supportato dall’agenzia di stampa Dire e che ha come protagonisti un gruppo di 22 italiani, uomini e donne, di età compresa tra i 20 e i 60 anni che si chiude oggi. Lo studio in questione coinvolge inoltre diversi esperti, provenienti da 12 atenei italiani ed esteri, oltre a 7 centri di ricerca internazionali.
“Non solo sono compromessi, in questi casi, il numero e la funzionalità degli spermatozoi, ma si verifica anche una riduzione del volume del liquido seminale – precisa Garolla – legato al diverso funzionamento in alta quota della prostata e delle vescicole seminali. Anche la perdita acuta di peso che si osserva in questi soggetti, al ritorno dalle spedizioni, può essere in grado di influenzare negativamente il liquido seminale. Tutti questi aspetti sono stati indagati prima della partenza e rivalutati poi al rientro dalla spedizione“.
“Poiché si tratta di soggetti sani, ipotizziamo che le alterazioni osservate siano reversibili. Pertanto, dopo 90 giorni dal rientro dalla spedizione (tempo necessario per il completamento di un intero ciclo della spermatogenesi) ci aspettiamo che tutti i parametri seminali tornino allo stato iniziale in ogni partecipante allo studio,” ha concluso l’esperto.