COP27, domani attesa una dichiarazione finale. “I Paesi arabi frenano gli sforzi contro le emissioni”

La dichiarazione conterrà "le sfide, le opinioni e i punti di vista" espressi da tutti i partecipanti alla COP27; intanto Greenpeace attacca i Paesi del mondo arabo
MeteoWeb

È attesa per le 9:00 locali di domani (le 8:00 italiane) una Dichiarazione finale della Conferenza annuale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP27) che “soddisferà tutte le parti“. Secondo quanto annunciato alla stampa dall’inviato speciale della presidenza dell’Egitto alla COP27, Wael Aboulmagd, il documento conterrà “le sfide, le opinioni e i punti di vista” espressi da tutti i partecipanti alla conferenza. La dichiarazione, sebbene si preveda verrà presentata dall’Egitto, Paese che ha ospitato l’evento a Sharm el Sheikh, non è stata elaborata dalla presidenza egiziana, ha precisato Aboulmagd. 

Le dichiarazioni dell’inviato sono giunte dopo che il Presidente della COP27 e Ministro degli Esteri dell’Egitto, Sameh Shoukry, ha annunciato che i colloqui per approvare la Dichiarazione finale della conferenza sarebbero proseguiti fino a domani, nonostante la fine dell’evento fosse inizialmente prevista per oggi, 18 novembre. L’obiettivo dei colloqui è trovare “il minimo comune denominatore” sui principali temi dibattuti durante l’incontro e superare le divergenze, ha fatto sapere il capo della diplomazia egiziana. 

I punti della bozza 

Secondo le indiscrezioni trapelate fino ad ora, nella bozza della dichiarazione finale sussiste l’impegno a ridurre gradualmente l’energia a carbone e a razionalizzare l’uso di combustibili fossili, oltre ad “aumentare la quota di energia rinnovabile nel mix energetico a tutti i livelli nell’ambito della diversificazione dei mix e dei sistemi energetici”. Tuttavia, si sottolinea che “devono essere investiti circa 4 mila miliardi di dollari all’anno in energie rinnovabili fino al 2030, compresi gli investimenti in tecnologia e infrastrutture, per raggiungere emissioni nocive nette pari a zero entro il 2050″.  

Viene ribadito, inoltre, l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. Per fare ciò, si afferma, è necessario ridurre le emissioni globali di anidride carbonica del 45% entro il 2030 rispetto al livello del 2010.

Riguardo il tema perdite e danni (loss & damage), incluso per la prima volta in agenda, si legge: “si esprime profonda preoccupazione per i notevoli costi finanziari associati a perdite e danni per i Paesi in via di sviluppo, che aumentano l’onere dell’indebitamento e pregiudicano la realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile del 2030“. La preoccupazione è poi legata anche al fatto che la promessa dei Paesi sviluppati di mobilitare congiuntamente 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 non sia stata ancora realizzata. “Il sostegno finanziario accelerato per i Paesi in via di sviluppo da parte dei Paesi sviluppati è un fattore fondamentale per migliorare l’azione di mitigazione e affrontare le disparità nell’accesso ai finanziamenti, compresi i costi, i termini e le condizioni e la vulnerabilità economica ai cambiamenti climatici per i Paesi in via di sviluppo”, si afferma nella bozza diffusa dalla stampa internazionale. 

COP27, Greenpeace: “i Paesi arabi compromettono gli sforzi per ridurre le emissioni” 

Alla COP27, giovani attivisti arabi per il clima hanno invitato i loro leader a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili proprio mentre Greenpeace accusa i Paesi del mondo arabo di “compromettere gli sforzi” in atto per ridurre le emissioni di gas serra . Per l’Ong ambientalista, i 21 Paesi del gruppo arabo “sono fermamente contrari a riaffermare l’impegno a limitare il riscaldamento globale a 1,5°C” e “sono contrari alla menzione dei combustibili fossili“. Questo gruppo di Stati “spende buona parte delle sue energie cercando di compromettere gli sforzi sulla mitigazione”. 

Per l’attivista marocchina Fatima Zahrae Tarib, “i giovani arabi non sono soddisfatti del ruolo del gruppo arabo nei negoziati” in questo vertice ONU sul clima, al quale, secondo il calcolo di una ong, sta partecipando un 25% in più dei lobbisti del settore petrolifero e del gas rispetto a quanti ne erano stati contati alla COP26 dell’anno scorso a Glasgow. “È folle che il Paese che guida il gruppo arabo, uno dei più grandi produttori di combustibili fossili, usi l’economia come scusa per continuare ad estrarre idrocarburi”, ha detto, riferendosi all’Arabia Saudita. 

Clima, MSF: “la crisi è anche sanitaria, le isole Kiribati lo dimostrano” 

Le isole Kiribati, arcipelago del Pacifico centro-occidentale, rischia di diventare l’emblema degli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute umana. La denuncia, pubblicata nell’ultimo giorno della COP27, è della ong Medici senza frontiere (MSF). L’81% delle famiglie che risiede nelle isole “sono colpite dall’innalzamento del livello del mare, costrette ad abbandonare le proprie abitazioni inondate durante l’alta marea” mentre si registra una concentrazione di malattie “tra cui lebbra, tubercolosi e diabete, fra le più alte al mondo”.  

Ad ottobre 2022, MSF ha avviato sull’arcipelago “un intervento medico per rispondere ai bisogni sanitari della popolazione con un focus principale sulla salute materno infantile”, come spiega una nota. Nel comunicato, si afferma che “Kiribati sta mostrando alcune tra le conseguenze più drammatiche del cambiamento climatico con un forte impatto anche sulla salute delle persone”. “Con i suoi 32 atolli e un’isola corallina emersa – spiega la nota – Kiribati è l’unico Paese al mondo a toccare tutti e quattro gli emisferi tra l’Australia e le Hawaii (soli 811km quadrati di terra distribuiti su 3,5 milioni di chilometri quadrati), con un forte problema di sovraffollamento che sta aggravando le difficoltà sanitarie e le questioni ambientali. Un contesto particolarmente fragile con una concentrazione di malattie tra le più alte al mondo tra cui lebbra, tubercolosi e diabete, e con un accesso all’assistenza sanitaria di base tra i più bassi al mondo“.

Le conseguenze dell’emergenza climatica sulla salute delle persone sono evidenti e ci aspettiamo che l’impatto peggiori, con un conseguente aumento dei bisogni umanitari rispetto a quelli a cui stiamo già rispondendo“, dichiara Fabio Forgione, responsabile del progetto di MSF a Kiribati. “Le popolazioni delle isole del Pacifico saranno le più vulnerabili, è necessario agire insieme per la salute del pianeta e degli esseri umani” .  

“Oltre all’erosione del terreno“, provocata dall’innalzamento del livello del mare, “stanno aumentando anche la salinizzazione delle fonti d’acqua sotterranee e del suolo, le temperature dell’aria, la siccità e le grandi maree. Un quadro – si avverte nella nota – che grava pesantemente sia sull’agricoltura sia sulla pesca che presto non sarà in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare: si stima che entro il 2030 Kiribati avrà bisogno del 50% in più di cibo per sostenere la domanda interna. Un’insicurezza alimentare legata anche alla scarsità di prodotti freschi e all’aumento del prezzo del cibo fuori portata della maggior parte delle persone (una zucca può costare 30 dollari australiani, considerando che il salario minimo è di circa 1,60 dollari australiani l’ora)”.  

MSF informa inoltre che “il 75% dei decessi nell’area del Pacifico è dovuto a malattie croniche, come l’ipertensione e il diabete, in forte aumento a Kiribati soprattutto tra le donne, con particolare attenzione a quelle in gravidanza ad alto rischio, che per ricevere cure specialistiche prima e dopo il parto, devono raggiungere in aereo la capitale Tarawa”.  

Il nostro lavoro si concentra sul supporto alla salute materno infantile e sull’assistenza prenatale, con un focus specifico sull’individuazione precoce delle malattie croniche e sull’assistenza sanitaria alle donne incinte e ai bambini nelle prime 24 ore di vita“, continua Forgione. “Il diabete nelle donne in gravidanza è particolarmente preoccupante in quanto la condizione può essere ad alto rischio per mamme e bambini. Una situazione che richiede cure specialistiche durante il travaglio, il parto e dopo il parto“, aggiunge Sandra Sedlmaier-Ouattara, ostetrica e referente medico del progetto di MSF a Kiribati. L’intervento della ong, conclude la nota, “si focalizzerà anche sulla formazione di ostetriche, infermieri e medici e sul miglioramento delle infrastrutture all’ospedale di Tabiteua North, provvedendo alla fornitura di energia rinnovabile, acqua pulita e gestione dei rifiuti per supportare le evacuazioni mediche e la capacità chirurgica”. 

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