“E’ stata una COP africana perché, a cominciare dall’accordo per i risarcimenti ai Paesi più vulnerabili, ci sono stati segnali importanti per l’Africa”. A parlare con l’agenzia Dire è Wanjira Maathai, ambientalista keniana figlia di Wangari, Premio Nobel per la pace per l’impegno in favore della riforestazione e dei diritti umani.
L’intervista si tiene durante un viaggio di ritorno da Sharm El-Sheikh, in Egitto, in riva al Mar Rosso. Maathai ha partecipato ai lavori della COP27 come esperta per l’Africa del think-tank World Resources Institute e ora traccia un bilancio. “L’accordo per la creazione di un fondo per risarcire i Paesi più colpiti dalle conseguenze dei cambiamenti climatici, il cosiddetto ‘loss and damage’, è senz’altro un fatto positivo”, sottolinea. “Lo dico per esperienza diretta, non solo per aver visto in tv i disastri delle alluvioni in Pakistan o in Nigeria, dove le persone sfollate sono milioni: nel mio Paese, in Kenya, sono ormai cinque di fila gli anni con piogge insufficienti”.
Mentre l’Italia celebra il 21 novembre, Giornata nazionale dell’albero, Maathai ricorda l’impegno della madre per la riforestazione e lo sviluppo sostenibile, premiato con il Nobel nel 2004: “piantavamo germogli di continuo, in ogni occasione, per qualunque motivo, sempre come fosse una festa; la gente diceva che per trovare casa nostra bastava seguire gli alberi”. Non si trattò solo di iniziative personali ma di coscienza sociale e ambientale, sempre più forte grazie alle iniziative verdi del Green Belt Movement, un movimento nato in Kenya nel 1977.
E di coscienza si parla anche oggi, dopo la COP27, la conferenza delle Nazioni Unite per il contrasto ai cambiamenti climatici. “A Sharm è stato ribadito l’impegno per il ripristino in Africa entro il 2030 di cento milioni di ettari di terreni degradati e disboscati“, sottolinea Maathai. Il riferimento è ad “Afr100”, un’iniziativa continentale promossa dall’Unione Africana. Anche in questo caso il nodo è la volontà politica, che a volte manca o non è abbastanza forte.
“I maggiori inquinatori del pianeta devono fare di più per ridurre le emissioni di CO2, perché la responsabilità è anzitutto loro”, denuncia l’esperta del World Resources Institute. “Sul fronte della mitigazione delle conseguenze dei cambiamenti climatici servirebbe poi almeno un raddoppio degli stanziamenti, anche perché come G7 o G20 si continua a investire di più nelle fonti fossili che nella tutela del pianeta”.
Secondo Maathai, a incoraggiare è l’elezione alla presidenza del Brasile di Luiz Inacio Lula da Silva. L’ex capo di Stato, che dovrebbe giurare a gennaio per un nuovo mandato succedendo a Jair Bolsonaro, è stato uno dei protagonisti della COP27. La settimana scorsa, in particolare, insieme con i Ministri del suo Paese, dell’Indonesia e della Repubblica democratica del Congo, ha annunciato un’intesa per la tutela di tre regioni che insieme valgono oltre la metà delle foreste tropicali del pianeta. La promessa è lavorare insieme per creare “un meccanismo di finanziamento” a tutela dell’Amazzonia, del Congo e del Borneo. Secondo Maathai, “il passo successivo potrebbe essere un’alleanza formale tra le tre foreste, da siglare con Lula al prossimo vertice del G20”.