Molti tumori cosiddetti “big killer” come il cancro al seno, al colon, alla prostata e al polmone vengono trattati inizialmente con successo tramite procedure terapeutiche anti-tumorali come la chemioterapia e la radioterapia. Ma spesso, a distanza anche di pochi mesi, il tumore si ripresenta. Questo avviene perché si sviluppano cellule super-resistenti che diventano insensibili a tutti i trattamenti successivi, portando purtroppo i pazienti a metastasi e al decesso in oltre il 50% dei casi. “Individuare una strategia per superare la resistenza alle procedure terapeutiche anti-tumorali – spiega Vincenzo Costanzo, a capo del laboratorio IFOM Metabolismo del DNA e Professore presso il Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università degli Studi di Milano – è una sfida che ci siamo posti nel nostro laboratorio. L’obiettivo è ottenere risultati concreti per migliorare la risposta terapeutica dei pazienti oncologici, facendo avanzare le conoscenze in quest’ambito e individuando, al contempo, soluzioni più sicure ed efficaci”. In questo senso vanno i risultati di questo studio, condotto da Vincenzo Costanzo e dal suo gruppo internazionale grazie al sostegno di Fondazione AIRC per la maggior parte degli esperimenti e della Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica per la validazione dei risultati nell’ambito del progetto IANG-CRC, appena pubblicati sulle pagine dell’autorevole testata scientifica Molecular Cell.
“Ci siamo concentrati – prosegue Costanzo – su un enzima altamente sospetto per essere implicato nello sviluppo di farmacoresistenza delle cellule tumorali: la Polimerasi Theta”. Si tratta di un enzima in grado di riparare il DNA danneggiato, diventato celebre in tempi recenti per il suo ruolo nei virus, da HIV a Covid 19. Tuttavia, il suo coinvolgimento nello sviluppo delle neoplasie non era ancora stato esplorato nei dettagli e, soprattutto, non era chiaro quale fosse il suo meccanismo d’azione. “Nelle cellule resistenti alla chemio- e alla radioterapia – illustra lo scienziato – sono presenti alte concentrazioni di fattori di riparazione e di duplicazione del DNA, che aiutano le cellule stesse a proteggersi dagli effetti delle terapie sul DNA stesso. Abbiamo pertanto indagato i meccanismi alla base di questi processi biologici, utilizzando tecniche avanzate di microscopia elettronica combinate con metodi biochimici basati su estratti acellulari. Abbiamo anche orientato il nostro studio su una strategia terapeutica che è attualmente oggetto di una sperimentazione clinica”.
“Nei nostri laboratori – spiegano Anjali Mann, Miguel Ramirez e Anna De Antoni, autori dell’articolo – abbiamo cercato di indagare il meccanismo tramite cui la Polimerasi Theta conferisce protezione alle cellule tumorali dagli effetti delle terapie. Ci siamo in particolare concentrati su cellule tumorali in coltura in cui il gene BRCA2 era alterato. Questo gene, quando non è mutato, corregge i danni che si generano nel DNA. La mutazione di questo gene è presente in più di 70% dei casi di tumori umani. Di questi il cancro del seno è il più noto, ma le mutazione di BRCA2 si trova anche in quelli all’ovaio, alla prostata, al polmone e al colon in percentuale minore”. In assenza di BRCA2, o quando vengono somministrate terapie, nel DNA danneggiato si formano delle lacune, ossia delle aree in cui manca uno dei due filamenti che lo compongono, per la mancata duplicazione del DNA stesso. Questo è un segno del fatto che la cellula tumorale è sensibile alla terapia. Complice del successo della terapia è l’enzima MRE11, che digerisce il DNA lacunoso e fa così morire la cellula tumorale. “Quello che è emerso sorprendentemente in diretta durante l’osservazione al microscopio – dicono i ricercatori – è una vera e propria lotta tra MRE11 e Polimerasi Theta: mentre il primo provoca tagli letali al DNA della cellula tumorale, la Polimerasi Theta li ripara, chiudendo le discontinuità che si creano nel DNA durante la sua replicazione e prevenendone la degradazione.” “In sostanza – commenta Costanzo – la Polimerasi Theta agisce un po’ come un filler anti-rughe, cicatrizzando i solchi e rivestendo il DNA della cellula tumorale con una barriera protettiva contro le terapie”.
I ricercatori di IFOM hanno quindi osservato il meccanismo d’azione di una terapia a bersaglio molecolare attualmente in sperimentazione clinica. Tale terapia è stata inizialmente pensata come coadiuvante della radioterapia, con l’obiettivo di curare le eventuali recidive riparando i danni provocati dall’azione-filler di Polimerasi Theta. “Si tratta di una terapia – precisa Costanzo – che distrugge in modo selettivo le cellule con difetti in BRCA2 o resistenti ad alcuni tipi di terapia tramite il processo detto di letalità sintetica. Quest’ultimo sfrutta l’inattivazione simultanea di due fattori che quando sono compromessi individualmente non hanno impatto sulla vitalità cellulare, risparmiando così le cellule non tumorali in cui il difetto genetico di BRCA2 è assente. Quello che è emerso dalle nostre ricerche – prosegue Costanzo – è che questa strategia terapeutica attualmente in corso di sperimentazione presenta un potenziale attualmente inesplorato. Essa può infatti non solo bloccare l’azione della Polimerasi Theta, ma addirittura evitare che essa abbia luogo, prevenendo del tutto l’insorgenza della recidiva. Potrebbe dunque essere un’alternativa alla radioterapia e alla chemioterapia. Se i risultati fossero confermati, ciò sarebbe un grande vantaggio per i pazienti perché, contrariamente alla radioterapia e alla chemioterapia, questa terapia agisce solo sulla resistenza intrinseca alle cellule tumorali, risparmiando tossicità alle cellule sane dell’organismo dei pazienti.”
Il prossimo passo del gruppo diretto da Vincenzo Costanzo sarà di valutare in laboratorio il farmaco direttamente in tumori umani per comprendere a quali pazienti e a quali tipi di tumore si applichi più efficacemente e quando l’inibitore di Polimerasi Theta debba essere somministrato per ottenere la massima resa.