Alluvione Ischia, un destino segnato

Alluvione Ischia, l'esperto spiega perché è un disastro annunciato
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MeteoWeb

A seguito di quanto accaduto oggi sull’Isola d’Ischia, il geologo Giampiero Petrucci, da tempo collaboratore di MeteWeb, ricorda come il territorio ischitano sia  notoriamente fragile e come le tragedie si siano succedute sull’isola da oltre un secolo.

L’Isola d’Ischia è nota in tutto il mondo per le sue bellezze paesaggistiche e le salutari acque termali. Ma è altrettanto noto quanto il territorio ischitano sia fragile e fortemente soggetto al rischio idrogeologico. Come se non bastasse già il rischio sismico, altrettanto ben noto col celebre terremoto di Casamicciola del 1883 ma anche con quanto accaduto nella stessa località il 21 agosto 2017, l’isola vanta il poco invidiabile record di essere stata sottoposta più volte a disastri idrogelogici di grande portata, anche in tempi molto lontani.

Il 24 ottobre 1910 un’intensa perturbazione, che crea gravi danni e 200 morti nella Costiera Amalfitana, provoca sconquasso anche ad Ischia: nella nottata cadono 250 mm di pioggia in 4 ore ed all’alba è il caos più totale. Dal Monte Epomeo scendono frane, fango, detriti vari e pure enormi massi tufacei, alcuni dei quali di 25 metri di diametro e 5 metri di altezza (servirà l’esplosivo per toglierli di mezzo). Casamicciola è allagata e travolta dalla melma. In contrada Rita numerose case sono rase al suolo, subiscono gravi danni anche gli stabilimenti termali Lucibello e Manzi, i rioni S. Severino ed Umberto I semidistrutti, il Municipio invaso dal fango, le baracche della Marina (sorte dopo il sisma del 1883) completamente travolte e trascinate fino in mare. Ciò che non era riuscito ad eliminare il terremoto, viene distrutto da questa alluvione: molte sorgenti termali, il traino dell’economia locale, risultano interrate. Molti si salvano salendo sui tetti ma 11 vittime rimangono comunque sul terreno, molte delle quali periscono in contrada Rita. 4 invece i morti a Lacco Ameno che subisce una devastazione similare, in particolare nella contrada della Fundera. A Forio viene travolta la zona di Monterone ed a Barano è il cimitero a subire i danni principali, con le tombe scoperchiate ed i cadaveri trascinati via dalla corrente impetuosa. Danni minori invece nel centro di Ischia dove comunque è completamente rovinato l’acquedotto. Situazione similare dunque a quanto vediamo oggi dove ad essere trascinate via, oltre a persone e case, sono numerose automobili e perfino autobus che, ovviamente, in quel tempo non esistevano in una simile quantità.

D’altra parte, già allora, eventi di questo tipo non sono certo una novità per l’isola. Già nel luglio del 1228 in località Fango una grossa frana costò la vita a diverse centinaia di persone mentre nel 1883 diversi movimenti gravitativi si svilupparono dal Monte Epomeo a seguito del forte terremoto. Stavolta però, come nel giugno 1643 quando il fango sommerse le sorgenti termali di Casamicciola, l’innesco del disastro è legato alle forti precipitazioni e le cause vanno ricercate, allora come oggi, nell’incuria del territorio che in quel tempo è legata soprattutto al disboscamento selvaggio attuato senza criterio nei boschi dell’isola, ovviamente per far posto a costruzioni varie. Quelle costruzioni che, da un secolo a questa parte, hanno continuato a proliferare sull’isola, cementificando, urbanizzando, impermeabilizzando un terreno già fragile di suo, spesso oltre tutto in maniera abusiva. Tutto questo nonostante i reiterati allarmi di ambientalisti, geologi e tecnici ambientali. Tutto inutile. Ciò che sorprende di più, fino a lasciare allibiti, è come gli insegnamenti da trarre a seguito di questi eventi catastrofici, non vengano minimamente messi in pratica. Non solo è mancata un’adeguata pianificazione territoriale, “ingolfando” sempre più i già angusti spazi isolani, ma sono stati deficitari i controlli ed ancor di più l’impiego di soluzioni adeguate. Eppure i segnali, evidentissimi, sono arrivati a più riprese.

Nell’isola d’Ischia difatti non mancano certo gli eventi luttuosi negli ultimi 50 anni, a prescindere da quanto accaduto oggi. L’8 giugno 1978, alle 12.40, una grande frana crolla dalla collina che sovrasta la zona delle Fumarole nella famosa spiaggia di Maronti, travolgendo i bagnanti ed uccidendo 5 turisti stranieri. Si chiama in causa la costruzione di alcune villette nell’area soprastante la nicchia di distacco della frana: i lavori avrebbero alterato il fragile equilibrio del costone anche se le responsabilità effettive non sono mai state accertate. Nella prima mattina del 30 aprile 2006 una frana di fango scesa dal Monte Vezzi abbatte una casa nella frazione Pilastri. Muoiono 4 persone, un padre con le sue tre figlie, sorpresi nel sonno. Seguono sgomberi forzati in località Arenella, nel comune di Ischia, anche di strutture abusive i quali però sembrano una goccia in un mare. Il 10 novembre 2009 a Casamicciola una marea di fango e rocce trascina via numerose auto: in una di queste perde la vita una ragazza. Il 25 febbraio 2015 uno smottamento in prossimità della sorgente dell’Olmitello, nel comune di Barano, travolge ed uccide un uomo che stava verificando i danni delle piogge dei giorni precedenti, peraltro avventurandosi incautamente in una zona considerata ad alto rischio.

Eppure, nonostante tutti questi eventi paradigmatici, niente è stato fatto per mettere veramente in sicurezza un territorio che ha sofferto troppo la violenza urbanistica cui è stato scriteriatamente sottoposto, ormai da 150 anni. L’assenza di sistemazioni idrauliche efficaci e l’incapacità del territorio, un secolo fa come adesso, di sopportare eventi pluviometrici al di sopra della media rappresentano gli inneschi di questi disastri, annunciati e non certo sorprendenti. Certo, non è semplice mettere in sicurezza un territorio così selvaggiamente deturpato, e ci riferiamo non solo ad Ischia, ma all’Italia intera: tutti noi attendiamo da tempo interventi appropriati che salvaguardino ambiente, territorio, paese e cittadini ma la complessità di tali opere ed i conseguenti costi elevati rappresentano, da molti anni, un forte deterrente nelle scelte politiche di difesa dai rischi naturali. Le capacità tecniche ci sono, la nostra Protezione Civile è all’avanguardia anche se è abituata ad intervenire “dopo”. Ciò che manca è la cultura del “prima”, di anticipare i disastri, senza aspettare la prossima tragedia passivamente. In un paese civilmente avanzato i cittadini non dovrebbero temere la forza della Natura. Invece, chissà perchè, pensiamo che tra qualche mese, da qualche parte del nostro Bel Paese, accadrà l’ennesima tragedia. Felici di essere smentiti…

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