Una ricerca dell’Istituto di nanotecnologia (Nanotec) del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma condotta in collaborazione con il Dipartimento di neuroscienze dell’Università di Genova e altre istituzioni di ricerca internazionali, ha dimostrato che la tomografia a contrasto di fase a raggi X è una tecnica efficace per indagare l’origine e l’evoluzione di patologie neurodegenerative come la sclerosi multipla, e individuare possibili biomarker precoci.
Tale tecnica offre una risoluzione spaziale e di contrasto molto elevata anche nei tessuti poco assorbenti, come il cervello o il midollo spinale, rivelando strutture tradizionalmente considerate “invisibili” ai raggi X: è in grado, infatti, di generare immagini tridimensionali del campione analizzato, permettendo una visualizzazione dalla singola cellula all’intero organo e favorendo lo studio dell’interazione delle singole unità strutturali, tra loro e con l’ambiente circostante.
Lo studio, guidato da Cnr-Nanotec e pubblicato su Communications Physics, ha coinvolto anche colleghidel Sincrotrone Soleil (Francia), e di Elettra – Sincrotrone Trieste: ha riguardato, in particolare, modelli murini affetti da encefalomielite autoimmune (che riproduce i meccanismi e gli effetti della sclerosi multipla) con l’obiettivo di indagare, attraverso la tomografia a contrasto di fase a raggi X (XPCT), l’evoluzione temporale del danno tissutale e dell’infiammazione in diversi organi, e cercare possibili biomarker precoci della malattia.
“La sclerosi multipla è una malattia demielinizzante infiammatoria che provoca un danno progressivo alle strutture del sistema nervoso centrale. La sua eziologia è ancora incerta, e le manifestazioni cliniche molto variabili: processi infiammatori che coinvolgono cellule del sistema immunitario e danni assonali e neuronali”, spiega Alessia Cedola, primo ricercatore del Cnr-Nanotec e coordinatore del team che ha condotto lo studio. “Molti studi, nell’ultimo decennio, hanno riportato il coinvolgimento dell’asse intestino-cervello, sottolineando la possibilità che le alterazioni intestinali portino a disfunzioni cerebrali, e suggerendo che una variazione della permeabilità intestinale potrebbe essere la causa di questa e altre malattie neurodegenerative: il nostro studio si è perciò concentrato non solo sul sistema nervoso centrale, ma anche sull’intestino degli animali affetti da encefalomielite autoimmune. La tecnica XPCT ha consentito di identificare e monitorare, a diversi stadi pre-sintomatici della malattia, le alterazioni strutturali e cellulari in differenti distretti anatomici”.
Il lavoro ha preso in esame diversi organi – cervello, midollo spinale, nervo ottico e intestino – descrivendo l’evoluzione dei danni: “I nostri risultati contribuiscono a gettare luce sullo sviluppo e la progressione della malattia, suggerendo che i primi segnali patologici della malattia siano da rintracciarsi nell’intestino e non nel sistema nervoso, come fino ad ora creduto”, prosegue Francesca Palermo, ricercatrice del team Cnr-Nanotec.
“È un risultato importante, di cui andiamo orgogliosi. Il nostro obiettivo è sviluppare questi studi in modo che possano trovare presto applicazione sull’uomo”, conclude Giuseppe Gigli, direttore del Cnr-Nanotec e coordinatore del TecnoMed Puglia – Tecnopolo di nanotecnologia per la medicina di precisione pugliese.