Il dissesto idrogeologico in Italia: ci vuole il “geologo condotto”

Ogni volta che accadono eventi catastrofici, i mass media affermano che ciò e dovuto al cambiamento climatico causato dalle attività antropiche, ma non è così
MeteoWeb

Ogni anno, generalmente in autunno, in Italia accadono fenomeni di dissesto idrogeologico (frane e alluvioni) con gravi danni alla popolazione ed al territorio in generale. Il problema si è sempre più acuito nel tempo, a causa dell’intenso sviluppo delle attività antropiche che si sono insediate sul territorio in aree pericolose, tenendo poco conto delle propensioni al dissesto del nostro Paese. La letteratura specializzata, ma anche le notizie di cronaca, sono ricche di informazioni riguardanti questi fenomeni particolarmente frequenti in Italia a causa delle caratteristiche geologiche, morfologiche e climatiche proprie del nostro territorio. Eppure, ormai da diversi anni, ogni volta che accadono eventi catastrofici, i mass media affermano che ciò e dovuto al cambiamento climatico causato dalle attività antropiche (in particolare immissione in atmosfera della famigerata anidride carbonica). Ma non è così.

Questa situazione di dissesto idrogeologico ha da tempo sollecitato l’impegno della nostra società che si è realizzato attraverso due itinerari distinti e cioè attraverso la emanazione di leggi da parte dello Stato e attraverso la ricerca scientifica perseguita da strutture nazionali (Università, C.N.R., Servizio Geologico d’Italia e Servizi Geologici regionali). Da tempo ci sono leggi che tutelano la sicurezza della popolazione per quanto riguarda lo sviluppo futuro delle attività antropiche, in particolare urbanizzazioni e aree industriali, che devono realizzarsi in aree idonee e al riparo dal rischio idrogeologico, ma non sempre queste leggi sono state rispettate. La speculazione edilizia purtroppo molto diffusa ha portato in molti casi ad utilizzare aree non idonee. La conseguenza è nota a tutti; assistiamo a calamità che provocano ingenti danni perché sono state urbanizzate aree aventi geologicamente naturali propensioni a subire alluvioni e frane.

Tanto per fornire alcuni dati sul dissesto idrogeologico in Italia, ricordo di seguito alcuni eventi particolarmente disastrosi. Nel 1951 ci fu l’alluvione del Polesine che provocò circa 100 morti, la distruzione di 52 ponti, 170.000 persone senza tetto. Nel 1966 ricordiamo l’alluvione di Firenze, associata anche a frane, con 96 morti, 20.000 persone senza tetto. Nel 1987 le frane della Val Pola in Lombardia, con 40 vittime e 19.500 senza tetto. Nel 1994, alluvione e frane in Piemonte, con 70 vittime, 2.226 senza tetto, 10 ponti distrutti. Nel 1998 i dissesti a Sarno e Quindici con 153 morti e 1500 senza tetto e nel 2000 a Soverato con 12 morti. Per non parlare degli ingenti danni registrati negli ultimi anni in Liguria e Toscana. L’elenco è ancora molto lungo, purtroppo.  Per un quadro, sia pure molto sintetico del problema, si veda la figura tratta da una nota di Canuti, Caciagli e Tarchi pubblicata a Roma nel 2001 nel dossier della XIV Legislatura.

Questa figura ci dà un quadro della notevole diffusione delle frane nel nostro Paese, dei relativi danni e costi, e riporta anche alcuni eventi eccezionali.

In fatto di danni provocati dalle frane, l’Italia è al 2° posto assieme all’India ed agli Stati Uniti, con perdite di 1-2 miliardi di Euro all’anno, mentre per quanto riguarda le vittime siamo al 4° posto nel mondo dopo i Paesi Andini, la Cina e il Giappone, con una media di 59 vittime all’anno (F. Guzzetti 2000, IRPI, CNR Perugia).

Questa rapida rassegna, certamente incompleta, è comunque sufficiente a testimoniare il grave problema del dissesto idrogeologico in Italia per quanto riguarda la salvaguardia sia di beni sia della pubblica incolumità. Le numerose ricerche, l’esperienza del passato, i dati raccolti consentono oggi di affrontare la difesa da queste calamità con approcci nuovi  rispetto al passato. E’ ormai da tutti accettato il concetto che la migliore difesa dagli eventi calamitosi è la previsione dei loro effetti. Si dice: “Bisogna correre davanti alle calamità naturali, non dietro”. Significa, questa considerazione, che è opportuno far prevalere progetti e programmi di prevenzione a quelli di bonifica e consolidamento.

Se in teoria tutti, anche politici ed amministratori, sono d’accordo su questo concetto, in pratica si investe ancora molto di più nel risanamento.

Per dare concretezza a questa mia breve nota ai fini della salvaguardia dagli eventi calamitosi, riporto di seguito alcune considerazioni che tengono conto delle conoscenze acquisite dalla ricerca scientifica.

E’ ormai accettato da parte della comunità scientifica che le notizie storiche sono molto utili ai fini della previsione nelle aree soggette a frane e alluvioni, anzi sono il punto di partenza per una corretta lettura dei fenomeni in esame. Le frane cosiddette di nuova generazione (ossia che avvengono su versanti mai colpiti da questi eventi) sono assai rare, non superano qualche punto percentuale rispetto a quelle che si riattivano lungo versanti già colpiti da questi fenomeni. Per esempio nella Regione Emilia e Romagna sono meno del 5% del numero totale di frane accadute dal 1950 alla fine del secolo. Da qui la grande utilità della ricerca storica.

Altri strumenti abbiamo per la previsione, come la modellazione matematica sulla stabilità di versanti indiziati di fenomeni franosi, il monitoraggio di tali versanti con tecnologie sempre più sofisticate atte a verificare la evoluzione sia di movimenti superficiali sia profondi.

Credo infine sia pleonastico affermare la importanza della ricerca geologica ai fini della previsione delle calamità naturali fin qui considerate, sottolineando in particolare i progressi che ci sono stati nella interpretazione di grandi fenomeni franosi. Desidero ricordare che fenomeni di instabilità di grande dimensione, derivanti dalla evoluzione di lenti movimenti su aree di grande estensione, sono stati bene studiati a partire dal 1980 in poi. Mi riferisco in particolare alle cosiddette deformazioni gravitative profonde di versante, diffuse nel nostro Paese ed evidenziate da specifiche ricerche di vari gruppi di ricercatori italiani e stranieri. Di questi grandi fenomeni legati alla evoluzione geodinamica dei nostri territori, si dovrebbe tenere conto in una prospettiva di pianificazione futura del territorio.

Cosa fare di fronte a questa vera e propria “malattia” del nostro Paese? Potrebbe sembrare che la parola “malattia” sia usata a sproposito. Ma non è così. Il nostro Pianeta è un vero e proprio organismo vivente e come tutti gli organismi viventi è in costante, sia pure lenta, evoluzione. Le montagne nascono, si sviluppano, evolvono, e infine scompaiono, per essere sostituite da altre montagne o da bacini oceanici. Bisogna conoscere in dettaglio questo modo di esprimersi della Natura, prevederne il comportamento per difenderci da quelle variazioni che possono risultare nocive alla comunità. Conoscere per prevenire gli effetti dannosi di queste modifiche. Ogni territorio ha un proprio modo di evolvere, bisogna quindi conoscerne in dettaglio le modificazioni. Le frane e le alluvioni, come tutte le altre calamità naturali (terremoti, vulcani in particolare) rappresentano malattie proprie di ciascun territorio, in relazione alle relative caratteristiche geologiche, geomorfologiche e climatiche.   Per una conoscenza capillare del comportamento di un certo territorio, ecco allora la necessità di affidare tale compito ad un esperto “medico di questo organismo”. E il medico dell’Organismo Terra è proprio il geologo, capace di studiarne la storia evolutiva, il comportamento di fronte ad eventi critici di piovosità e di prevederne le reazioni. Ecco allora il concetto di geologo “condotto”, che vive con il territorio, sa prevederne il comportamento, come ad esempio cosa può accadere quando piovono 50 mm di pioggia, o 100, 200 e così via. Questo controllo capillare, costante, che consente di prevedere, è a mio modesto avviso il modo migliore per difendersi da queste malattie naturali. Si tratta di un controllo a basso costo; piccoli comuni potrebbero consorziarsi per dotarsi di questa figura professionale, cui potrebbe anche essere affidato il parere sulla fattibilità geologica degli interventi sul territorio stesso.

Esistono ormai le competenze, ci sono i progressi degli studi geologici applicativi, perché continuare a non tenerne conto a difesa della pubblica incolumità? E soprattutto non attribuiamo questi eventi al riscaldamento globale che è ormai di moda criminalizzare ad ogni occasione.

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