La missione della capsula Orion della NASA è agli sgoccioli. L’agenzia si sta preparando per il test finale del veicolo: rientro e ammaraggio nell’Oceano Pacifico.
I funzionari, durante un briefing lo scorso 8 dicembre, hanno dichiarato che le fasi finali della missione Artemis I stanno procedendo come da programma: la conclusione è prevista con un ammaraggio nel Pacifico alle 12:40 ora locale (18:40 ora italiana) dell’11 dicembre.
Un cambiamento nelle fasi finali della missione è la posizione dello splashdown. Judd Frieling, direttore di volo presso il Johnson Space Center della NASA, ha spiegato che i responsabili della missione hanno deciso di spostare verso Sud l’ammaraggio, dalla sua posizione originale al largo della costa di San Diego, in California. Il veicolo spaziale cadrà in mare vicino a Isla Guadalupe, a Ovest della Baja California.
Frieling ha riferito che sia il sito di atterraggio principale che quello alternativo a nord erano “no-go” a causa delle condizioni meteo, poiché si prevede che un fronte freddo attraverserà l’area al momento dello splashdown.
Mike Sarafin, manager della missione Artemis I, in seguito ha affermato che lo spostamento della zona di ammaraggio è stato conseguenza delle previsioni di pioggia, venti e onde che potrebbero ostacolare gli sforzi di recupero.
“C’era incertezza sulle previsioni meteo,” ha dichiarato Sarafin, con condizioni appena al limite di ciò che sarebbe accettabile, “e ci siamo spostati a Sud della zona di incertezza“.
La modifica del luogo di atterraggio non influirà sulle operazioni di recupero. Il team preposto, sulla nave USS Portland, arriverà sul luogo dello splashdown con almeno 24 ore di anticipo per raccogliere dati meteo a supporto del rientro, ha dichiarato Melissa Jones, direttore delle operazioni di atterraggio e recupero.
Una volta che la capsula avrà effettuato l’ammaraggio, rimarrà in acqua per 2 ore per condurre un test di “soakback“, per vedere come la navicella spaziale gestisce l’impulso di calore dal rientro. La squadra di recupero, supportata da piccole imbarcazioni ed elicotteri, rimorcherà in seguito la capsula sulla USS Portland.
Osservare gli effetti del rientro a circa 40mila km/h è la massima priorità della missione. “Non esiste sulla Terra alcuna struttura aerotermica o arcjet per replicare il rientro ipersonico con uno scudo termico di queste dimensioni,” ha affermato Sarafin. “È un’apparecchiatura critica per la sicurezza. È progettato per proteggere il veicolo spaziale e i passeggeri, gli astronauti a bordo. Quindi lo scudo termico deve funzionare“.
Orion effettuerà anche uno “skip reentry“: in sostanza, la capsula rientrerà e scenderà a un’altitudine di circa 60 km, poi risalirà a 90 km prima di ridiscendere per ammarare. La manovra è progettata per ridurre il “g-load” sulla navicella e sui suoi occupanti e fornire anche maggiore flessibilità nella scelta di un sito di atterraggio.
Recuperare Orion dopo lo splashdown è un’altra delle principali priorità, sia per studiare il veicolo spaziale dopo il volo, sia per recuperare diverse unità avioniche che saranno rinnovate e usate per Artemis II.
Infatti, se Orion supererà il suo ammaraggio domani, la NASA potrà iniziare a prepararsi per il prossimo volo del programma Artemis: Artemis II invierà astronauti intorno alla Luna a bordo di Orion nel 2024. Artemis III rappresenterà l’allunaggio vicino al Polo Sud lunare, previsto nel 2025 o 2026.
Ci saranno anche altre missioni successivamente, se tutto andrà secondo i piani: la NASA intende stabilire un “campo base” con equipaggio vicino al Polo Sud entro la fine degli anni ’20. Le competenze e le conoscenze acquisite in queste missioni aiuteranno l’agenzia a portare gli astronauti su Marte entro la fine del 2030 o l’inizio del 2040, hanno affermato i funzionari della NASA.