Studiare il respiro dei vulcani, il fenomeno deformativo che dura anni

Gli ultimi decenni hanno visto un grandissimo incremento nella capacità dei vulcanologi di misurare le deformazioni della crosta terrestre, e quindi in particolare anche nelle aree vulcaniche
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Spesso i vulcani, anche quando non eruttano, sono caratterizzati da diversi fenomeni che gli scienziati possono misurare e studiare per tenere sotto controllo il loro stato di attività ed eventualmente prevederne il risveglio. Ad esempio, la risalita di magma, i processi interni alla camera magmatica, o ancora l’attività idrotermale causano fenomeni di rilascio dei gas misurabili in superficie. Gli stessi movimenti di magma e fluidi all’interno della crosta terrestre generano attività sismica. Un altro fenomeno macroscopico legato all’attività vulcanica è la deformazione in superficie. Il magma in risalita interagisce con la roccia crostale e i fluidi circostanti, così da creare nuovi percorsi e accumularsi in serbatoi profondi. Questi processi generano sforzi e deformazioni nei volumi di roccia attraversati, che arrivano fino alla superficie, causando quindi la deformazione del suolo. Allo stesso modo, anche a seguito di una eruzione vulcanica, o a causa della pressurizzazione o depressurizzazione del sistema idrotermale o della camera magmatica, si verificano deformazioni del suolo. Il fenomeno deformativo, che potremmo definire il respiro dei vulcani, può durare mesi o anni.
Un esempio fra tutti di questa dinamica dei vulcani è la caldera dei Campi Flegrei, sede di spettacolari variazioni del livello del suolo (il ben noto bradisismo flegreo) di cui, unico caso al mondo, abbiamo una ricca ricostruzione temporale (Figura 1).

Le deformazioni del suolo nelle aree vulcaniche possono quindi essere indicative dell’attività vulcanica profonda. La possibilità di misurare l’entità degli spostamenti del suolo, con precisione al centimetro o millimetro, e in modo continuativo nel tempo, permette di ottenere informazioni quantitative sull’attività vulcanica, e contribuire a determinarne la pericolosità. Vediamo nel dettaglio come si misurano gli spostamenti del suolo, e come si possono interpretare.

Figura 1 – Immagini del mercato romano Serapeo di Pozzuoli, cittadina situata sulla costa al centro dei Campi Flegrei. Nelle diverse epoche, le colonne romane sono emerse completamente, o rimaste parzialmente sommerse, così da mostrare nel tempo i segni della posizione del fondo del sito archeologico rispetto al livello del mare. A sinistra, come appare nel 1820, a destra in alto, nel 1930, in basso è riportata una immagine recente. Nel grafico sottostante sono riportate le variazioni di quota al Serapeo dal 35 a.C. nell’arco di 2000 anni (dati in blu da Parascandola, 1947 e Todesco et al., 2014; dati in rosso da Di Vito et al., 2016, dati in nero dalle campagne di livellazione, Del Gaudio et al., 2010).

Come si misurano le deformazioni del suolo?

Gli ultimi decenni hanno visto un grandissimo incremento nella nostra capacità di misurare le deformazioni della crosta terrestre, e quindi in particolare anche nelle aree vulcaniche. Prima dell’avvento dei moderni sistemi di osservazione della Terra da satellite, gli spostamenti del suolo erano misurati con la tecnica topografica della livellazione, di cui abbiamo le prime campagne nell’area dei vulcani napoletani dal 1905. La livellazione fornisce una misura della quota altimetrica del suolo, quindi da campagne di misura successive si ottiene la misura dello spostamento verticale intercorso nel tempo. A partire dagli anni Settanta, sono state utilizzate nuove metodologie come l’Electronic Distance Measurement (EDM), che fornisce invece la variazione della distanza tra due punti tramite uno strumento dotato di laser. Alla fine degli anni Ottanta arrivarono i sistemi di posizionamento geo-spaziale, i GPS (Global Positioning System), oggi generalizzati con l’acronimo GNSS (Global Navigation Satellite Systems) per comprendere più sistemi. L’elaborazione dei dati GNSS fornisce misure di spostamento nelle tre componenti dello spazio, quindi in direzione est-ovest, nord-sud e verticale. Un grande vantaggio di questa tecnica di monitoraggio è la possibilità di essere utilizzata in continuo, così come effettivamente avviene per le reti di monitoraggio dei vulcani italiani gestite dall’INGV. Inoltre, l’INGV gestisce una innovativa infrastruttura di monitoraggio geofisico marino, denominata MEDUSA, che, con le sue quattro boe equipaggiate con diversi sensori, fornisce misure degli spostamenti del fondo marino nel golfo di Pozzuoli.

La vera rivoluzione nel monitoraggio delle deformazioni del suolo è avvenuta, a partire dagli anni Novanta, tramite le immagini satellitari da sensori radar, ossia le immagini SAR (Synthetic Aperture Radar). La complessa elaborazione di due immagini acquisite in tempi diversi permette di ottenere frange di interferenza che corrispondono alla variazione del suolo avvenuta temporalmente tra la prima e la seconda immagine. La tecnica di analisi si chiama Interferometria SAR, brevemente InSAR. Ad oggi esistono diversi metodi per combinare numerose immagini SAR e ricostruire la storia deformativa dell’area di interesse, ottenendo delle serie temporali su lunghi periodi. Dai primi anni Novanta, l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha fornito dati acquisiti dai satelliti radar ERS1-2 e ENVISAT, e attualmente dalla missione multisatellite Sentinel (Sentinel-1A e 1B, in particolare). Anche l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) a partire dal 2007 ha lanciato la costellazione di satelliti denominata COSMO-SkyMed con a bordo sensori radar, così come altre agenzie spaziali nel mondo, anche se non tutti i dati sono forniti gratuitamente.

La tecnica InSAR permette di mappare grandi aree con risoluzione di poche decine di metri al suolo, ed è di grandissimo aiuto per vulcani situati in aree remote o in paesi con limitati mezzi economici che non garantiscono l’installazione e la manutenzione di reti a terra, come i ricevitori GNSS. D’altra parte, le immagini hanno una periodicità di minimo 6 giorni nel caso ottimale dei Sentinel, e forniscono una misura di deformazione lungo la linea di vista del satellite, che è obliqua (inclinazione da 22° a 35°- 40° sulla verticale), per cui la comprensione del campo di spostamento del suolo non è così immediata.

Che informazioni possono darci le deformazioni del suolo in aree vulcaniche?

Come già sottolineato, le deformazioni del suolo che misuriamo in superficie sono sintomo di uno o più processi che hanno luogo in profondità. Quindi, l’analisi dei movimenti del suolo può fornire informazioni importanti sulla forma, posizione e dinamica delle sorgenti vulcaniche profonde che hanno causato la deformazione osservata da noi in superficie. In un articolo pubblicato nel nostro blog si mostra come le immagini SAR siano state utilizzate per indagare la risalita del magma all’Etna in occasione dell’eruzione 2018.
Negli anni sono stati sviluppati dei modelli matematici per calcolare lo spostamento in superficie causato da sorgenti deformative di varia forma (Figura 2). La più nota è la sorgente di Mogi, che rappresenta una cavità sferica che si dilata o restringe, e così facendo causa sollevamento o abbassamento del suolo, oltre alle deformazioni orizzontali. Altri modelli di sorgenti di deformazione sono lo sferoide di forma allungata come una bottiglia, o di forma piatta e tonda come una moneta, i cosiddetti sill, o ancora verticale e piatta come sono per esempio i dicchi vulcanici. Ciascuna di queste sorgenti genera una deformazione in superficie diversa dall’altra, come ampiezza, spostamento verticale massimo o rapporto tra spostamento verticale e orizzontale. Ogni pattern deformativo può considerarsi quindi come una firma della forma, posizione e intensità della sorgente stessa.
Con un processo di inversione dei dati, si può partire dai dati geodetici di uno o più tipi (InSAR, GNSS, livellazione, ecc.), e, scegliendo la sorgente deformativa più adatta, si può determinare la combinazione di parametri che meglio riproduce il dato osservato. Così si minimizza lo scarto tra lo spostamento osservato e quello teorico calcolato col modello in base ai parametri stabiliti.
I tipici parametri che definiscono una possibile sorgente sono la posizione geografica (est e nord), la profondità, e la variazione di pressione o di volume. Inoltre, in base al modello prescelto, possono esserci altri parametri; ad esempio, se si utilizza un modello a disco, dall’inversione dei dati si può determinare il raggio che meglio riproduce i dati osservati, e così via per gli altri parametri specifici di ciascun modello.

Figura 2 – (sinistra) Il cambiamento delle condizioni della camera magmatica di un vulcano causa una deformazione della crosta terrestre, che arriva fino in superficie e che si può misurare con le moderne tecniche terrestri (triangoli azzurri) o satellitari. (destra) Esempio di alcune sorgenti di deformazione utilizzate comunemente, come la sorgente sferica, a forma di moneta, a forma di bottiglia, e infine un dicco. Tutte possono dilatarsi o restringersi per variazione di pressione all’interno, causata tipicamente da arrivo o rimozione di magma o fluidi.

Un pacchetto software “aperto” e user friendly per l’inversione dei dati geodetici

Recentemente è stato pubblicato il pacchetto software Open Source VSM (Volcanic and Seismic source Modelling), scritto in Python, un linguaggio di programmazione che riscuote ampio successo tra gli scienziati. Il pacchetto è disponibile pubblicamente nel repository GitHub (https://github.com/EliTras/VSM). Questo software permette di utilizzare dati geodetici ottenuti tramite le più comuni tecniche di monitoraggio (GNSS, SAR, livellazione, ecc.), e di selezionare uno o più modelli di sorgenti di deformazione, incluse quelle presentate nel precedente paragrafo. Con un ulteriore settaggio di parametri si arriva a poter lanciare il run per l’inversione dei dati geodetici. L’utente può utilizzare l’interfaccia grafica mostrata nella Figura 3, che con le diverse finestre guida l’inserimento di tutte le informazioni necessarie per poter eseguire il software. Alla fine del run, si ottiene il best-fit, ossia la lista dei parametri della sorgente che meglio riproduce i dati osservati, oltre ad altri risultati come l’insieme dei modelli indagati, i dati teorici prodotti dal modello di best-fit, e diversi grafici automatici.

Figura 3 – Schermate delle finestre grafiche del pacchetto VSM (Volcanic and Seismic source Modelling). L’utente può creare l’input (in alto) selezionando i dati geodetici dal proprio computer (sinistra), scegliendo poi il modello di sorgente deformativa tra quelle elencate (centro) e lanciare così inversione dei dati (destra).

Esempio di inversione di dati geodetici ai Campi Flegrei nel periodo 2011 – 2013

Come esempio di applicazione del pacchetto di modellazione VSM, e più in generale di come si procede per poter modellare le sorgenti di deformazione in un caso reale, consideriamo nuovamente la caldera dei Campi Flegrei. I dati SAR COSMO-SkyMed raccolti durante il periodo 2011-2013 mostrano una deformazione di circa 15 cm nella zona di Pozzuoli lungo la linea di vista del satellite (quasi verticale). Insieme ai dati GPS raccolti dalla rete gestita dall’Osservatorio Vesuviano dell’INGV, i dati concordano nell’evidenziare un rigonfiamento del centro della caldera composto da sollevamento ed espansione radiale. Dopo diverse prove di inversione tramite VSM, il modello di sorgente scelto è la sorgente di tipo “moneta” o sill, illustrata nei paragrafi precedenti. I parametri del sill che minimizzano lo scarto tra dato osservato e teorico sono: profondità pari a 4 km, raggio del disco uguale a 1 km e variazione di volume di circa 7 milioni di metri cubi. In altre parole, interpretiamo la deformazione osservata durante il 2011-2013 con una sorgente a forma di disco di raggio 1 km, localizzata a 4 km di profondità e che si dilata di 7 milioni di metri cubi nei 2 anni considerati.
La sorgente è localizzata in prossimità di Pozzuoli, leggermente verso mare come mostrato dal disco grigio nella Figura 4.
I risultati ottenuti da questo studio sono parte di un progetto chiamato LOVE-CF (https://progetti.ingv.it/en/love-cf), finanziato dall’INGV proprio con l’obiettivo di migliorare la capacità di prevedere il comportamento futuro della caldera Flegrea.

Figura 4 – Risultati della modellazione tramite VSM del dataset InSAR (dati satellitari in orbita ascendente) e dati GPS. Il disco in grigio è la sorgente di tipo sill vista dall’alto, con dimensione in scala con la figura. Nella prima colonna sono riportati i dati InSAR osservati (alto) e il modello (basso). Le mappe a destra mostrano il confronto tra i dati GPS nella componente verticale (alto) e orizzontale (basso). Dati osservati in nero, dati teorici in rosso. Dati da De Martino et al. (2021) e Polcari et al. (2022).

Conclusioni

L’attività di modellazione tramite inversione di dati geodetici richiede di effettuare diversi tentativi, valutando le incertezze associate ai parametri trovati, cambiando la tipologia della sorgente di deformazione e interpretando i prodotti della modellazione in modo critico.
I risultati più importanti sono relativi alla determinazione della posizioneprofondità e variazione di volume della sorgente di deformazione. Determinare dove si accumula il magma che sta causando gli spostamenti osservati in superficie ha immediate ricadute in termini di protezione civile. Per esempio, la profondità della sorgente è un elemento decisivo per determinare quanto preoccupante può essere l’attività vulcanica in corso, sempre tenuto conto della storia eruttiva dell’area in esame. Infine, la variazione di volume dà la misura delle masse coinvolte nella deformazione osservata, ed è un parametro utile per la determinazione dell’entità della possibile eruzione.
Infine, per supportare l’attività di modellazione è importante considerare altre informazioni geofisiche relative all’area vulcanica in esame, incrociando dati di tipo non geodetico (ad esempio l’attività sismica e la geochimica del degassamento, oltre alla storia eruttiva e al tipo di attività vulcanica passata e presente) così da aumentare l’attendibilità dei risultati ottenuti. E ricordando sempre che si tratta di modelli, e, quindi, di una rappresentazione estremamente schematica della realtà. E non della realtà stessa.

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