Clamoroso studio sul Covid: anticorpi non efficienti se infezione e vaccino sono ravvicinati

I ricercatori dell'OHSU hanno scoperto che la risposta immunitaria degli anticorpi al Covid-19 si rafforza nel tempo: è dunque deleterio vaccinare in prossimità dell'infezione
MeteoWeb

Gli anticorpi non rispondono in maniera efficiente se infezione e vaccino sono ravvicinati. Un recente e clamoroso studio ribalta dalle fondamenta i presupposti sui quali i governi hanno basato le loro politiche anti-Covid. Sul banco degli imputati sale in particolare la vaccinazione a tappeto di soggetti sani in piena pandemia.

L’immunità da Covid-19 sembra rafforzarsi quando trascorre più tempo tra la vaccinazione e l’infezione. E viceversa. A suggerirlo è un nuovo studio di laboratorio condotto dai ricercatori dell’Oregon Health & Science University. I risultati comportano implicazioni per le raccomandazioni sui vaccini, proprio nel momento in cui la pandemia sta passando ad uno stato endemico.

Risposta degli anticorpi e vaccinazione

I ricercatori hanno misurato la risposta anticorpale nei campioni di sangue di un gruppo di persone che hanno acquisito l’immunità ibrida in due modi: vaccinazione seguita da infezione o vaccinazione dopo aver contratto il Covid-19. Hanno misurato la risposta immunitaria nei campioni di sangue di 96 soggetti sani. Hanno scoperto che la risposta immunitaria era uniformemente più forte quanto più lungo era il periodo di tempo tra la vaccinazione e l’infezione. L’intervallo più lungo misurato è stato di 404 giorni.

Le scoperte suggeriscono che i richiami del vaccino dovrebbero essere distanziati a circa un anno l’uno dall’altro, almeno tra le persone sane. “Intervalli più lunghi tra l’infezione naturale e la vaccinazione sembrano rafforzare la risposta immunitaria per le persone altrimenti sane“. Lo ha precisato il co-autore senior Fikadu Tafesse, professore associato di microbiologia molecolare e immunologia presso la Scuola di Medicina dell’OHSU.

Vaccini: altre decisioni in vista

Lo studio arriva mentre un gruppo consultivo per la Food and Drug Administration sta decidendo in questi giorni la strategia futura del vaccino Covid-19. Pubblicata sul Journal for Clinical Investigation Insight, la nuova ricerca è l’ultima di una serie di scoperte di laboratorio fatte da scienziati dell’OHSU. Tutte rivelano un modello di risposta immunitaria rafforzata attraverso l’immunità ibrida. Le scoperte suggeriscono che l’entità, la potenza e l’ampiezza della risposta immunitaria ibrida sono tutte aumentate con un periodo di tempo più lungo tra l’esposizione al virus e la vaccinazione.

Questo probabilmente è correlato alla risposta degli anticorpi che matura nel tempo. Lo ha spiegato il co-autore senior Marcel Curlin, professore associato di medicina (malattie infettive) presso la Scuola di Medicina dell’OHSU e direttore medico dell’OHSU Occupational Health. “Il sistema immunitario sta imparando“, ha detto Curlin. “Se hai intenzione di amplificare una risposta, ciò che questo studio ci dice è che potresti voler aumentare quella risposta dopo un periodo di apprendimento più lungo piuttosto che subito dopo l’esposizione“.

Ulteriori scoperte

Il team di ricerca ha scoperto anche che non importa se si è sviluppata un’immunità ibrida vaccinandosi dopo aver contratto il Covid-19 o viceversa. Entrambi i gruppi di studio hanno sviluppato una risposta immunitaria altrettanto potente. Ciò che ha fatto la differenza è il tempo trascorso tra l’una e l’altra.

I risultati suggeriscono una potenza di lunga durata delle cosiddette “cellule della memoria“. Si tratta delle cellule B che riconoscono un virus invasore e generano anticorpi proteici per neutralizzare il virus e le sue numerose varianti.

I risultati indicano che il virus si sta evolvendo verso uno stato endemico. “I nostri risultati indicano un futuro in cui ci si aspetterebbe che le inevitabili infezioni rivoluzionarie del vaccino contribuiscano a costruire un serbatoio di immunità a livello di popolazione che possa aiutare a smussare le ondate future e ridurre le opportunità di un’ulteriore evoluzione virale“, scrivono gli autori. I ricercatori hanno avvertito che la risposta immunitaria è stata misurata in persone sane. I richiami possono invece essere consigliati con maggiore frequenza tra i soggetti a rischio.

Condividi