Svelati i segreti di un raro tipo di pulsar grazie a 150 microsecondi di ritardo

Misurando l'intervallo temporale tra emissioni in banda X e ottica di un raro tipo di pulsar è stata ricostruita la geometria del sistema del quale fa parte
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Pulsar è una contrazione dell’espressione inglese pulsating radio source: sorgente radio pulsante. Ma le pulsar – i fari del cosmo – non emettono sempre e solo fasci d’onde radio: spesso emettono raggi X, a volte anche luce visibile. E in certi rari casi le si è viste emettere entrambi questi fasci: X e ottico. Ma non contemporaneamente: quasi contemporaneamente. È il caso della rarissima Psr J1023+0038, una millisecond pulsar transizionale pulsante in banda ottica – l’unica pulsar a oggi nota che possa fregiarsi di tutti gli attributi appena elencati: è quanto riporta Media INAF, il notiziario online dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.

Per misurare l’intervallo temporale tra le due emissioni, un team di astrofisici guidato da Giulia Illiano dell’Inaf di Roma l’ha cronometrata a più riprese nell’arco di cinque anni, dal maggio del 2017 al febbraio del 2022. Lo ha fatto con quattro telescopi – due dallo spazio e due da terra. Risultato: l’intervallo tra le due emissioni è in media di circa 150 microsecondi. Un ritardo che può sembrare a dir tanto veniale, ma che in realtà racchiude importanti indizi sulla natura di queste pulsar.

Laureata alla Sapienza, dottoranda in astrofisica all’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Roma, appassionata di karate – è cintura nera secondo dan – e di trekking in montagna, Illiano ha ricevuto il mese scorso, all’Inaf di Arcetri, una menzione d’onore nell’ambito del premio “Magini” per la sua tesi di laurea magistrale in astrofisica: un criterio importante, aveva detto la commissione, era che si trattasse di lavori che potessero potenzialmente portare a una pubblicazione. Detto fatto: il risultato ottenuto dal suo team sui ritardi di Psr J1023 è stato pubblicato la settimana scorsa su Astronomy & Astrophysics.

Le millisecond pulsar sono stelle di neutroni rotanti al millisecondo: in un secondo, ruotano su sé stesse centinaia di volte, emettendo fasci di radiazione simili a quelli di un faro,” ha dichiarato l’esperta a Media INAF. “Solitamente distinguiamo due classi di pulsar al millisecondo, in base al tipo di radiazione che emettono e al meccanismo che ne è all’origine: le pulsar radio sono alimentate dalla rotazione dell’intenso campo magnetico della stella di neutroni, agendo come acceleratori di particelle; le pulsar a raggi X hanno un’emissione che è alimentata dalla cattura di materia trasferita da una stella compagna. Pochi decenni fa sono state scoperte le millisecond pulsar transizionali (transitional millisecond pulsars), che oscillano tra lo stato di pulsar radio e quello di pulsar a raggi X su tempi scala molto brevi, anche in un giorno o meno. Al momento conosciamo solo tre millisecond pulsar transizionali con certezza. Nel 2017 il gruppo con cui lavoro ha scoperto per la prima volta una millisecond pulsar transizionale pulsante in banda ottica (optical transitional millisecond pulsars), aprendo una nuova importante finestra per studiare questi affascinanti oggetti“.

“L’osservazione di pulsazioni ottiche da questa sorgente è stata possibile grazie all’utilizzo del fotometro ottico rapido SiFap2, montato al Telescopio nazionale Galileo (Tng) dell’Inaf, nell’isola di La Palma, alle Canarie. Una scoperta importante, perché suggerisce che i due meccanismi descritti prima possano lavorare contemporaneamente: per spiegare l’elevata luminosità ottica pulsata osservata, si pensa che una pulsar radio sia attiva nel sistema nonostante la presenza di un disco di accrescimento. Al momento conosciamo solo un’altra pulsar al millisecondo ottica: oltre alla transizionale J1023, il gruppo con cui lavoro ha scoperto pulsazioni ottiche anche dalla millisecond pulsar in accrescimento Sax J1808, sempre grazie a osservazioni eseguite con SiFap2“.

Conosciamo poche pulsar al millisecondo ottiche perché fino a poco tempo fa non avevamo gli strumenti giusti montati su telescopi abbastanza grandi: l’accoppiata SiFap/Tng ha risolto il problema. Questo strumento – in grado di misurare l’arrivo dei singoli fotoni di luce visibile – montato su un telescopio di 3.6 metri di diametro ha reso possibile la scoperta delle pulsazioni ottiche di Psr J1023. Non si pensava che le millisecond pulsar emettessero pulsazioni ottiche abbastanza brillanti da essere osservabili, ma una volta trovata la prima, il gruppo ha iniziato una campagna che sta mostrando che la popolazione di millisecond pulsar ottiche è più diffusa di quanto pensassimo“.

La pulsar Psr J1023 emette i suoi fasci di radiazione ogni 1688 microsecondi circa. Su osservazioni acquisite con diversi strumenti nell’arco di circa cinque anni, noi abbiamo misurato il ritardo della pulsazione ottica rispetto a quella X, che al massimo è pari a qualche centinaia di microsecondi. Per eseguire queste stime così precise, abbiamo utilizzato osservazioni quasi simultanee nelle due bande. Le osservazioni nei raggi X sono state eseguite con Nicer, uno strumento della Nasa montato sulla Stazione spaziale internazionale, e il telescopio a raggi X dell’Esa Xmm-Newton. Nell’ottico abbiamo utilizzato due cosiddetti “fotometri ottici rapidi” che si trovano su due diversi telescopi dell’Inaf: SiFap2, del quale ho già detto, montato al Tng, e Aqueye+, montato al Telescopio Copernico di Asiago“.

Ci sono tante indicazioni del fatto che le pulsazioni ottiche e X siano generate da Psr J1023 all’incirca nella stessa regione e abbiano un meccanismo comune di emissione: secondo il modello proposto, si originerebbero in una regione a circa cento chilometri dalla pulsar, dove il suo forte vento incontra la materia del disco di accrescimento. Il meccanismo alla base di queste pulsazioni, ossia l’emissione di sincrotrone (il meccanismo di emissione di fotoni a seguito di interazione tra particelle relativistiche e campi magnetici), prevede differenti tempi di emissione per i fotoni ottici e per quelli X: questa è l’idea alla base della nostra ricerca,” ha proseguito l’esperta. “Nel nostro lavoro abbiamo analizzato nove set di osservazioni quasi simultanee in banda ottica e nei raggi X acquisite nell’arco di circa cinque anni. Anche se i valori stimati per questo ritardo non sono sempre gli stessi (la piccola variazione osservata può essere spiegata anche da oscillazioni del raggio interno del disco di accrescimento, che si avvicina o allontana leggermente dalla pulsar), abbiamo trovato che gli sfasamenti temporali si trovano sempre in un intervallo molto limitato di valori: qualche centinaia di microsecondi, appunto. Questo supporta l’ipotesi che le pulsazioni ottiche e X si originino all’incirca nella stessa regione e che abbiano un meccanismo comune di emissione“.

Il ritardo osservato, ha concluso Illiano, “ci fornisce importanti indicazioni sui meccanismi all’origine delle pulsazioni ottiche e X di questa sorgente e sulla geometria del sistema in esame. Secondo il modello proposto, gli elettroni sono accelerati ad altissime velocità nella regione in cui il vento della pulsar incontra il disco di accrescimento ed emettono poi secondo il meccanismo di sincrotrone interagendo con il forte campo magnetico presente in questa regione. Pensiamo quindi che le pulsazioni ottiche e X si originano secondo il meccanismo di sincrotrone, che presenta tempi diversi di emissione per i fotoni ottici e per quelli nei raggi X, a causa delle loro energie differenti“.

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