Terremoto, lo sciame sismico in Romagna nella zona del “prossimo grande sisma”: nuove conferme sulle previsioni degli esperti

Lo sciame sismico in Romagna conferma le previsioni degli esperti sull'area in cui si dovrebbe verificare il prossimo grande sisma d'Italia. I dettagli
MeteoWeb

La terra trema in Romagna, dove giovedì 26 gennaio con una scossa di magnitudo 4.1 è iniziato uno sciame sismico che si sta rivelando particolarmente intenso. Complessivamente negli ultimi tre giorni si sono verificate decine di scosse nella zona compresa tra Cesena, Cesenatico, Cervia e Gambettola. Le più forti hanno fatto tremare le abitazioni anche a Rimini, Forlì, Ravenna, Pesaro e Riccione. Nelle ultime ore abbiamo avuto due scosse particolarmente intense: quella di magnitudo 4.1 delle 06:32 di questa mattina, e quella di magnitudo 3.8 delle 11:29 odierne, con tanto di evacuazioni nelle scuole.

Le mappe di seguito di consentono di identificare con estrema precisione l’area dell’epicentro di questo sciame sismico:

La mappa dell’INGV mostra invece l’intensità del risentimento macrosismico, che si è esteso su gran parte dell’Appennino fino a Prato, Arezzo e Perugia, della pianura Padana orientale fino a Ferrara, e fino alle Marche centrali:

La situazione viene monitorata in tempo reale dai tecnici e dagli esperti dell’INGV, con la consapevolezza che quella interessata si tratta di un’area ad alto rischio sismico e che in generale sul territorio italiano ci sono molte zone esposte a forti terremoti, che possono verificarsi da un momento all’altro. Ecco perchè la protezione civile ha organizzato un’imponente esercitazione antisismica nello Stretto di Messina a inizio novembre, coinvolgendo 500 mila persone in quello che è stato il più grande test della storia della Repubblica.

E dopo pochi giorni, il 9 novembre, nelle Marche s’è verificato un terremoto di magnitudo 5.7, il più forte dell’ultimo secolo nella zona della costa marchigiana settentrionale. Eravamo appena pochi chilometri a Sud dello sciame sismico di oggi in Romagna, e in quell’occasione il prof. Enzo Mantovani, docente di Fisica Terrestre presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena, faceva il punto della situazione in un’intervista a MeteoWeb in cui affrontava anche il tema della previsione dei terremoti. Lo scienziato spiegava che “Per difenderci dagli effetti dei terremoti, la cosa più efficace è rendere gli edifici esistenti in grado di resistere alle scosse attese nelle rispettive zone. Considerato però che in Italia la quantità di edifici costruiti senza criteri antisismici è largamente maggioritaria, l’operazione di messa in sicurezza richiederebbe una quantità di risorse talmente elevata da richiedere un periodo molto lungo di sviluppo. Per cercare di superare questa lentissima strategia di prevenzione si potrebbe prendere in considerazione una soluzione alternativa, basata sull’assunzione che le attuali conoscenze sull’assetto sismotettonico dell’area in esame permettano di riconoscere le zone più esposte alle prossime scosse forti in Italia. Questa informazione consentirebbe di concentrare le limitate risorse disponibili nel breve termine nelle zone dove l’intervento edilizio sugli edifici può essere più urgente, rendendo meno grave il mancato intervento nelle restanti zone”. 

Una prospettiva molto interessante, ma fattibile soltanto se fosse possibile individuare con anticipo in quali zone si verificheranno le prossime scosse più forti. In tal senso, le previsioni dei terremoti hanno già fatti passi da gigante negli ultimi anni con il riconoscimento delle zone sismiche prioritarie anche grazie agli studi dello stesso prof. Mantovani e del suo team, oltre che da altri studiosi particolarmente autorevoli e affermati.

In merito, sono già stati pubblicati numerosi studi scientifici e lo stesso prof. Mantovani ha spiegato che “la possibilità che le informazioni fornite da questa metodologia siano affidabili è in particolare suggerita dal fatto che gli ultimi terremoti forti in Italia (quelli avvenuti in centro Italia nel 2016-2017 e quello che ha colpito la costa marchigiana nel 9 Novembre scorso) si sono verificati nelle zone che erano state segnalate come prioritarie”. Una previsione che lo sciame sismico in Romagna sta ulteriormente confermando. L’11 novembre, infatti, Mantovani ci spiegava che “le indagini delle ultime pubblicazioni scientifiche mettono in evidenza che le scosse maggiori lungo le zone periAdriatiche (Grecia, Albania, Croazia, Slovenia, Alpi, Appennini, Calabria) tendono a migrare dalle zone meridionali a quelle settentrionali. Questo comportamento sembra ripetersi ogni 150-200 anni e trova una plausibile spiegazione nell’ambito del quadro tettonico dell’area in esame, considerato che le zone citate circondano la placca adriatica e che quindi la loro sismicità è strettamente connessa con il progressivo spostamento di tale solida struttura rispetto alle zone circostanti. Dal 1600 al 1930 è possibile riconoscere 4 sequenze migranti, in cui crisi sismiche forti hanno colpito quasi tutte le zone periadriatiche, passando da quelle meridionali al fronte alpino. Dopo il 1930, la sismicità ha finora prevalentemente interessato le zone appenniniche meridionali e quelle centrali. Considerata questa distribuzione di sismicità, le regolarità riconosciute nelle 4 sequenze sismiche precedenti e il quadro tettonico della zona in esame, è ragionevole supporre che molto probabilmente le prossime scosse principali si verificheranno lungo i bordi del settore appenninico mostrato nell’immagine successiva (cuneo Romagna-Marche-Umbria), in particolare nelle zone identificate come Alta Valtiberina, Appennino Forlivese e fascia costiera Rimini-Ancona. Il fatto che il terremoto del 9 novembre scorso abbia colpito quest’ultima zona sembra indicare che la previsione sopra citata si stia verificando. A questo punto, vale inoltre la pena di ricordare che nelle sequenze sismiche precedenti (1600-1930) le tre zone sopra citate si sono sempre verificate entro 10-20 anni le une dalle altre. Cioè, quando se ne attiva una la probabilità che si attivino le altre due aumenta significativamente”.

La zona gialla identifica il settore appenninico denominato cuneo Romagna-Marche-Umbria (RMU). Le linee rosse indicano i bordi settentrionali di questo cuneo. La presunta cinematica del cuneo RMU (dovuta alla spinta della catena appenninica orientale) è indicata dalla freccia

Il quadro tettonico dell’appennino settentrionale implica che il cuneo RMU stia trasmettendo la spinta dell’intera catena al settore più settentrionale (Appennino Tosco-Emiliano). Quindi, fino a che le faglie che circondano il cuneo RMU (Alta Valtiberina e Forlivese) non cederanno, la pericolosità sismica interesserà anche le zone sismiche dell’Appennino tosco-emiliano, come è avvenuto nel 2012, con la scossa della pianura padana. Le considerazioni riportate in questa nota, e soprattutto nelle pubblicazioni citate, potrebbero stimolare la politica di prevenzione antisismica in Italia a promuovere per le zone sopra citate una campagna di incentivi  per interventi di messa in sicurezza del patrimonio edilizio. In caso di scosse forti (come quelle già avvenute nelle zone in oggetto), i costi di questa operazione verrebbero largamente compensati dal fatto che i danni a cose e persone sarebbero molto più limitati, comportando costi molto più ridotti di ricostruzione e soprattutto un significativo risparmio di vite umane. Senza poi considerare che l’eventuale successo di una tale operazione di prevenzione antisismica susciterebbe un grande interesse scientifico e sociale in tutto il mondo. Questo tipo di iniziativa è già stato adottato qualche anno fa dalla Regione Toscana che ha stabilito criteri di priorità (basati su nostre indicazioni) nello stanziamento di fondi per interventi di messa in sicurezza nelle varie zone sismiche della regione”, ha detto ai nostri microfoni poco più di due mesi fa il prof. Mantovani. Con parole che, a maggior ragione oggi, sono attualissime.

E’ quindi assolutamente necessario concentrare con massima urgenza tutte le possibili attività di prevenzione e adeguamento delle strutture antisismiche in tutta l’area dell’Appennino centro/settentrionale compresa tra Umbria settentrionale, Marche, zone più interne della Toscana e Romagna. Secondo gli esperti, infatti, sarà in quest’area che si potrebbe verificare il prossimo grande sisma del nostro Paese, esattamente a metà strada tra le ultime forti scosse che sono state quelle dell’Emilia nel maggio 2012 con la scossa più forte di magnitudo 6.0 (27 morti) e quello dell’Appennino al Centro Italia tra agosto 2016 e gennaio 2017 con la scossa più forte di magnitudo 6.5 (303 morti).

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