Un luminoso bolide ha squarciato il cielo tra la Puglia e la Basilicata intorno alle ore 19 del 14 febbraio, suscitando grande meraviglia: sono stati davvero numerosi i testimoni che hanno segnalato l’avvistamento di quello che è ormai noto come “meteorite di San Valentino” alla rete Prisma, il network coordinato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) per la sorveglianza delle meteore e dei fenomeni dell’atmosfera.
Già nel pomeriggio di mercoledì 15 febbraio era stato possibile tracciare lo strewn field, cioè l’area di possibile caduta al suolo di frammenti del corpo celeste progenitore. A fare scattare l’avviso alla popolazione e la caccia ai frammenti, è stata proprio l’individuazione del luogo della caduta, grazie agli esperti di Prisma Albino Carbognani (INAF-OAS) e Dario Barghini (INAF-OATo), che hanno ristretto il campo all’area a Nord di Matera.
“Per individuare la zona di caduta è necessario un utilizzo massiccio della matematica e delle leggi della fisica che riguardano la caduta dei corpi in un gas, come la nostra atmosfera,” ha spiegato ai microfoni di MeteoWeb Albino Carbognani, ricercatore dell’INAF-Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio di Bologna, autore di “L’asteroide di Sodoma e Gomorra“. Nello specifico, ha proseguito l’esperto, “la zona di caduta è stata individuata in due passi. Per prima cosa è stata triangolata la traiettoria del bolide usando le immagini della camere del progetto Prisma coordinato dall’INAF, l’Istituto Nazionale di Astrofisica (www.prisma.inaf.it). Come secondo step ho calcolato la traiettoria che poteva avere seguito il residuo del meteoroide, sopravvissuto alla fase di bolide, mentre proseguiva la sua caduta verso il suolo. Si tratta della così detta “fase di volo buio”. Questa è la parte più difficile perché – come dice il nome – non è possibile osservarla con le camere di Prisma essendo invisibile. Si tratta di una traiettoria che va ricostruita a tavolino e per questo bisogna conoscere anche lo stato dell’atmosfera: temperatura, densità, direzione e intensità del vento in funzione della quota che condizionano pesantemente la posizione della zona della caduta al suolo, che in gergo si chiama strewn field. Proprio nello strewn field è probabile ritrovare meteoriti: tipicamente quest’area ha una forma allungata, i frammenti più piccoli si trovano all’inizio, subito dopo la fine della traiettoria del bolide, mentre quelli più grandi si trovano alla fine perché meno condizionati dai venti. Dalle stime che ho fatto è risultato che il frammento ritrovato ha colpito il suolo a circa 300 km/h che può sembrare tanto, ma non è niente rispetto alla velocità con cui è entrato in atmosfera: circa 60.000 km/h, il doppio della velocità della Stazione Spaziale ISS che orbita al di sopra delle nostre teste“.
Carbognani ha effettuato “i calcoli per trovare lo strewn field, ossia la zona al suolo dove era più probabile il ritrovamento delle meteoriti associate al bolide di San Valentino. La cosa ha dato una bella soddisfazione, perché la meteorite ritrovata si trova nella “testa” dello strewn field, dove era molto probabile la presenza dei frammenti maggiori“. Il ricercatore fa parte del Project Office di Prisma, ossia del gruppo di persone che ne coordina e promuove l’attività e che in caso di cadute si attiva per il recupero. Il Project Office è la vera anima di Prisma.
Le primissime indicazioni valutavano una massa iniziale del corpo celeste all’ingresso in atmosfera pari a 2,5 kg e la massa dell’eventuale meteorite pari a circa 400 grammi: “La massa iniziale e finale si stima dalla variazione di velocità che il corpo subisce durante la caduta in atmosfera, per questo sono necessarie delle telecamere per osservare i bolidi: permettono di ricostruire la dinamica del fenomeno e non solo la cinematica, come invece danno le immagini statiche,” ha sottolineato il ricercatore INAF.
Nelle prossime ore i frammenti recuperati saranno portati in laboratorio per essere analizzati: “Il progetto Prisma ha una collaborazione con i geologi dell’Università di Firenze, che hanno già condotto le analisi sulla precedente meteorite recuperata da Prisma (la meteorite Cavezzo, 4 gennaio 2020). Saranno quindi loro a condurre le analisi anche su questa meteorite. Le prime analisi che verranno condotte saranno di tipo radiogenico, ossia si studierà la debole radioattività (non pericolosa per gli esseri umani), che la meteorite ha per essere state esposta per milioni o miliardi di anni ai raggi cosmici dello Spazio. Questa radioattività indotta ha vita breve perché una volta caduta, l’esposizione ai raggi cosmici cessa. Poi si proseguirà con le analisi chimico-fisiche per stabilirne la composizione e verrà definitivamente classificata. Dopo questa fase sarà possibile assegnarle un nome, che sarà “Matera”, il Comune all’interno del quale è avvenuta la caduta, e sarà messa nell’elenco delle meteoriti ufficialmente conosciute“. Dopo le analisi, il materiale “verrà probabilmente collocato nel museo di Scienze Planetarie di Prato, gestito dalla fondazione Parsec, che già custodisce la Cavezzo. In questo modo sarà direttamente visibile al pubblico. Fra qualche mese, dopo le analisi, verrà pubblicato un articolo scientifico con i risultati ottenuti e sulle pagine del sito web di Prisma comparirà una news che illustrerà quello che è stato trovato, in poche parole quale storia sull’origine del Sistema Solare ha “raccontato” la meteorite“.
I meteoriti hanno attraversato quasi inalterati i circa 4,5 miliardi di anni dalla formazione del Sistema Solare e ritrovarne uno appena caduto come quello rinvenuto a Matera aiuta moltissimo gli scienziati a ricostruire le tappe che hanno portato alla formazione dei pianeti, Terra compresa.
Dal punto di vista scientifico l’elemento più interessante “è sicuramente il ritrovamento della meteorite. Con i dati di Prisma si può risalire anche all’orbita che il meteoroide originario seguiva attorno al Sole e questa informazione è disponibile solo per circa 40 meteoriti in tutto il mondo. Poter associare una meteorite all’orbita del progenitore è un evento molto raro ed è la seconda volta che accade in Italia (il primo caso è quello della già citata Cavezzo). Della maggior parte delle 60.000 meteoriti recuperate al mondo non si possiede alcuna informazione sull’origine. Poi ogni caduta è un caso a sé: qui la meteorite ritrovata ha danneggiato un piastrella del balcone su cui è caduta, ma frammenti più piccoli hanno danneggiato un pannello fotovoltaico sul tetto dell’abitazione coinvolta: è il primo caso al mondo di pannello danneggiato dalla caduta di un corpo extraterrestre,” ha concluso l’esperto.
La rete PRISMA
Il progetto PRISMA (Prima Rete Italiana per la Sorveglianza sistematica di Meteore e Atmosfera), promosso dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e sostenuto con convinzione da Fondazione CRT, si articola attraverso una rete di videocamere all-sky, installate in diverse località del territorio italiano, da dedicare all’osservazione di meteore brillanti – i cosiddetti “bolidi” – con il fine di determinare le orbite degli oggetti che le provocano e delimitare con un buon grado di approssimazione le aree dell’eventuale caduta di meteoriti, che può essere associata a questi eventi.
L’obiettivo finale del progetto è quello di creare una rete di stazioni osservative, con maglie che non superino i 100 km di ampiezza, che si estenda su tutta l’Italia e che coinvolga soggetti pubblici e privati impegnati nella ricerca scientifica, nella divulgazione della scienza, nell’insegnamento. La rete, seppure ancora in fase di ulteriore sviluppo (v. paragrafo successivo) già si interconnette con un analogo programmi già in funzione in Francia, Spagna e centro Europa.
Sessanta stazioni in 4 anni
Attualmente sono installate e in funzione oltre sessanta videocamere su tutto il territorio nazionale, acquistate da diversi enti (alcune camere grazie all’impegno della Fondazione CRT che dall’inizio sostiene il progetto nel suo complesso), tutte con le stesse caratteristiche in modo da rendere scientificamente confrontabili i dati da esse acquisiti. La cosiddetta “prima luce”, cioè il debutto operativo del progetto, è avvenuto all’inizio del mese di marzo 2017. La mappa delle stazioni attualmente operative (punti rossi) è rappresentata graficamente nella cartina seguente, insieme a quelle già acquistate e in corso di installazione (punti arancioni), quelle in fase di acquisto (punti gialli) e quelle in manutenzione (punti viola). In quattro anni, quindi, la rete PRISMA ha saputo diffondersi sul territorio nazionale fino a includere complessivamente settanta installazioni, coinvolgendo una quarantina di enti diversi e ha ottime possibilità di estendersi ulteriormente su tutto il territorio nazionale nel giro di pochi anni.
Aspetti culturali innovativi
Oltre al valore scientifico, presente in tutte le fasi del progetto, l’aspetto interessante e veramente innovativo, almeno per la realtà italiana, è che la rete PRISMA vede coinvolto, oltre a personale scientifico dell’INAF e di alcune Università, anche gruppi di astrofili e studenti delle scuole secondarie (sulla base del progetto di “alternanza scuola lavoro”), seguendo la filosofia dei citizen science networks. Questo aspetto del progetto si situa nell’ambito di PRISMA-Edu, che viene sviluppato grazie anche al sostegno finanziario della fondazione CRT. Il potenziale del progetto in termini di ricerca, divulgazione e coinvolgimento dei mass media e del pubblico è molto grande, come ha dimostrato l’eco avuto sui media avuto in occasione degli avvistamenti più importanti, fra i quali spicca certamente quello che ha portato, all’inizio del 2020, al ritrovamento sul territorio di un meteorite, nel Comune di Cavezzo in provincia di Modena. Il tema della caduta di materiale extraterrestre e la possibilità di osservare il fenomeno, comprenderne l’origine e studiarne la composizione, ha un impatto molto grande presso il pubblico, con una forte ricaduta educativa. Inoltre, nel momento in cui viene individuato un evento che può potenzialmente dare luogo alla caduta di un meteorite, i partecipanti al progetto vengono coinvolti insieme alle autorità locali anche nella fase di ricerca al suolo, con evidenti connessioni con la geografia, la cartografia, l’orientamento sul terreno.