Leonardo da Vinci potrebbe avere avuto una comprensione della gravità che era “secoli avanti rispetto ai suoi tempi“, secondo quanto rivelano i suoi quaderni.
Gli schizzi di da Vinci, dimenticati per decenni, mostrano triangoli formati da particelle simili a sabbia che si riversano da un barattolo. Questi granelli che cadono rappresentavano esperimenti per dimostrare che la gravità era una forma di accelerazione, più di 400 anni prima di Einstein: lo sostiene un nuovo studio.
Albert Einstein ha formulato per primo la teoria secondo cui la gravità e l’accelerazione sono la stessa cosa, chiamata principio di equivalenza, nel 1907. Per fare ciò, Einstein è partito da Isaac Newton, dalla Legge di gravitazione universale (che afferma che ogni oggetto nell’universo attrae l’altro con una forza legata alle masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che li separa) e dall’enunciazione della legge della caduta libera di Galileo Galilei del 1604 (senza la resistenza dell’aria, tutte le masse cadono con la stessa accelerazione).
“Non sappiamo se da Vinci abbia fatto ulteriori esperimenti o abbia approfondito questa questione“, ha spiegato l’autore principale Mory Gharib, docente di aeronautica e ingegneria medica al Caltech. “Il fatto che stesse affrontando questo problema in questo modo – all’inizio del 1500 – dimostra quanto fosse avanti il suo pensiero“.
Gli appunti di Leonardo
Da Vinci fu pittore, architetto, inventore, anatomista, ingegnere e scienziato. Principalmente autodidatta, ha riempito dozzine di taccuini segreti con fantasiose invenzioni e osservazioni anatomiche. Insieme a disegni dettagliati dell’anatomia umana, i suoi appunti contengono disegni con biciclette, elicotteri, carri armati e aeroplani. Delle oltre 13mila pagine di questi schizzi, successivamente raccolte in codici, ne è sopravvissuto meno di un terzo.
La scoperta nel Codex Arundel
Gharib stava studiando le copie digitalizzate di questi appunti per discutere gli studi di da Vinci sulla dinamica dei flussi con i suoi studenti quando ha notato dei disegni nelle pagine del Codex Arundel, un taccuino datato tra il 1480 e il 1518. L’esperto ha visto triangoli formati da particelle che fuoriuscivano da contenitori in movimento, accompagnate da un’intrigante frase scritta con la calligrafia speculare di da Vinci.
“Ciò che ha attirato la mia attenzione è stata la scritta ‘Equatione di Moti’ (tradotto dai ricercatori come “equivalenza di moti”) sull’ipotenusa di uno dei suoi triangoli abbozzati, un triangolo rettangolo isoscele,” ha spiegato Gharib. “Mi sono impegnato per scoprire cosa intendeva Leonardo con quella frase“.
Ipotesi e l’equazione di Leonardo
Gharib e i suoi colleghi hanno scoperto che da Vinci stava descrivendo acqua o sabbia caduta da una brocca mentre veniva spostata lungo un percorso rettilineo parallelo al suolo. Gli appunti di Da Vinci chiariscono che sapeva che le particelle avrebbero accelerato verso il basso e che una volta che avevano lasciato la brocca, questa accelerazione era causata solo dalla gravità.
Se la brocca si muovesse a velocità costante, la linea tracciata dalle particelle in caduta sarebbe verticale, ipotizzava da Vinci, ma se accelerasse a velocità costante, allora le particelle formerebbero una linea retta e obliqua che forma il lato dell’ipotenusa di un triangolo.
Infatti, ha osservato da Vinci, se la brocca accelera per rilasciare le gocce alla stessa velocità con cui la gravità le accelera verso il suolo, viene tracciato un triangolo equilatero, primo accenno del principio di equivalenza.
Da Vinci ha cercato di formulare le sue osservazioni in un’equazione, ma ha abbandonato il tentativo. Eseguendo una simulazione del suo esperimento, i ricercatori hanno scoperto dove era finito fuori strada.
“Quello che abbiamo visto è che Leonardo ha avuto difficoltà, ma ha formulato che la distanza dell’oggetto che cade (dal punto di caduta dell’oggetto) era proporzionale a 2 alla potenza t (con t che rappresenta il tempo) invece che proporzionale a t al quadrato,” ha affermato co-autore Chris Roh, professore di ingegneria biologica e ambientale presso la Cornell University. “Era sbagliato, ma in seguito abbiamo scoperto che ha usato questo tipo di equazione sbagliata nel modo corretto“.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Leonardo“.