Terremoto, la crisi sismica di Malta: quali possibili effetti sulle zone sismiche circostanti?

Il prof. Enzo Mantovani spiega a MeteoWeb cosa sta succedendo nel Mediterraneo e cosa potrebbe succedere in futuro
MeteoWeb

Il prof. Enzo Mantovani, docente di Fisica Terrestre presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena, fa il punto sullo sciame sismico in corso a Malta e spiega ai microfoni di MeteoWeb quali possono essere i possibili effetti di questa situazione nelle zone sismiche circostanti.

La zona del canale di Sicilia localizzata a sud di Malta è attualmente interessata da una crisi sismica (stelle nell’immagine) che ha compreso numerose scosse con magnitudo maggiore di 4, raggiungendo in due casi un valore massimo di 5.6 (24 e 30 Gennaio 2023). Le conoscenze attualmente disponibili sul quadro sismotettonico dell’area suggeriscono che l’attivazione di quella faglia potrebbe indurre un aumento della pericolosità sismica in altre fratture tettonicamente connesse con quella attivata. Vorrei chiarire, seppur in modo molto sintetico, quali sono le evidenze e le argomentazioni che suggeriscono questa possibilità, partendo da una breve descrizione dell’assetto tettonico nell’Italia meridionale e in particolare nella Sicilia e nelle aree circostanti (figura 1)“.

terremoto malta

Le deformazioni che questa zona sta attualmente subendo – spiega il prof. Mantovanisono dovute alla convergenza delle placche confinanti, cioè l’Africa, l’Eurasia e il sistema Anatolico-Egeo (e.g., Mantovani et al., 2020, 2022; Viti et al., 2021). Uno degli effetti principali di questa morsa geodinamica è costituito dal disaccoppiamento del blocco Ibleo-Siculo dalle zone circostanti. Le faglie che permettono questi svincoli, indicate in figura dalle linee rosse, sono le principali sorgenti dei terremoti che colpiscono questa zona. Le scosse storiche più intense sono avvenute lungo la faglia situata al largo della Sicilia orientale (sistema di faglie Vulcano-Siracusa)“.

Nel 1169 – ricorda il ricercatore – una scossa di magnitudo stimata 6.5 (ed intensità massima I=X nella scala Mercalli Cancani Sieberg) provocò notevoli distruzioni in una vasta area, comprendente Catania e le zone circostanti (Siracusa, Messina, Modica, Lentini, Sortino), con circa 15.000 vittime e danni enormi. Alcune evidenze molto significative, come il fatto che ci furono 5000 vittime per il maremoto, che a Catania ci fu un abbassamento delle acque per circa 5 metri e che a Messina il faro rimase sommerso per un’entità analoga, indicano che la faglia responsabile di quella scossa sia in mare. Nel 1693 si verificarono due scosse, una nel 9 gennaio e una due giorni dopo. La prima con magnitudo stimata circa 6.1 provocò danni che sono stati valutati di intensità massima pari a VIII-IX. La seconda fu molto più forte (magnitudo stimata 7.3 ed intensità massima XI). Anche per quest’ultima scossa ci sono evidenze molto precise di maremoto (con onde di oltre 15 metri di altezza) che testimoniano la localizzazione in mare della scossa. Queste informazioni sottolineano la grande pericolosità sismica connessa con le attivazioni della faglia Vulcano-Siracusa. Scosse fortissime sono avvenute anche nella zona dello stretto di Messina (1908, M=7.1). Altri terremoti forti, anche se meno distruttivi, hanno colpito il settore più settentrionale della faglia di Vulcano (1786 e 1978, M=6 nel Golfo di Patti con danni e morti nell’entroterra) e la zona occidentale della Sicilia (Fuoricosta del Trapanese, nel 1941 con M=5.9, e Valle del Belice, dove nel 1968 un evento di M=6.4 provocò circa 300 vittime). Anche il bordo settentrionale del blocco Ibleo-Siculo ha subito diversi terremoti di M > 5, tra cui quelli di Alicudi (M=5.7) e di Palermo del 2002 (M=5.9). Un altro fenomeno naturale che si manifesta lungo un bordo del blocco Ibleo-Siculo riguarda l’attività vulcanica dell’Etna“.

L’idea che la pericolosità sismica nelle zone sopra citate possa essere influenzata da terremoti significativi nel canale di Sicilia – prosegue ancora il prof. Mantovaniè basata sul fatto che le scosse in quest’ultima zona rivelano uno spostamento del blocco Ibleo-Siculo rispetto all’Africa e che tale movimento può poi produrre instabilità (entro mesi o anni) lungo gli altri bordi dello stesso blocco. La possibilità che le zone situate attorno al blocco Ibleo-Siculo siano attualmente sottoposte a sforzi più accentuati (rispetto alla fase precedente) è già stata suggerita in alcuni lavori recentemente pubblicati dal nostro gruppo di ricerca (e.g., Mantovani et alii 2022; Viti et alii, 2021), dove vengono descritti, in modo molto dettagliato, i possibili effetti di un evento tettonico macroscopico, costituito da un notevole spostamento verso ovest (di molti metri) del blocco anatolico (Turchia), innescato da una serie di fortissimi terremoti (iniziata con una scossa di M=8 nella Turchia orientale nel 1939) lungo la faglia Nord Anatolica, cioè la frattura che permette a questo blocco di svincolarsi dal dominio strutturale del Mar Nero. Questo avanzamento del blocco anatolico ha ridotto la mobilità del cuneo calabro, attenuando la pericolosità sismica in quella zona, e ha invece accentuato la mobilità del blocco Ibleo-Siculo, con conseguente aumento della pericolosità nelle faglie che lo circondano. Questa interpretazione tettonica è avvalorata dal fatto che dopo la sequenza sismica lungo la faglia Nord Anatolica la sismicità in Calabria è notevolmente diminuita (nessuna scossa con M > 5 è avvenuta dopo il 1947) mentre nelle zone che circondano il blocco Ibleo-Siculo l’attività sismica minore (M < 5) ha subito un significativo aumento (Mantovani et alii, 2022)”.

Il prof. Mantovani prosegue: “Alle considerazioni sopra riportate sul blocco Ibleo-Siculo può essere utile aggiungerne alcune riguardanti l’Appennino settentrionale, dove le conoscenze sui processi tettonici in atto e sulla distribuzione spazio-temporale della sismicità negli ultimi quattro secoli indicano un incremento dell’attuale pericolosità sismica. Questo riguarda in particolare le zone che circondano a nord il settore di catena denominato Romagna-Marche-Umbria, corrispondenti alla fascia costiera Rimini-Ancona, all’Alta Valtiberina e all’Appennino Forlivese, evidenziate nella figura di seguito” (Mantovani et alii, 2016, 2017, 2018):

zone sismiche appenninoL’ipotesi che queste tre zone siano le più esposte alle prossime scosse forti – aggiunge ancora l’esperto – ha già avuto una prima conferma di validità con le scosse del Pesarese del 9 novembre 2022 (M=5.5). Inoltre le caratteristiche della storia sismica precedente suggeriscono che dopo la crisi sismica del pesarese la pericolosità sismica nelle altre due zone (come anche nella stessa fascia Rimini-Ancona) può subire un incremento. A questo riguardo, è interessante notare che una crisi sismica, con molte scosse, di cui alcune di M > 4, sta attualmente interessando la Riviera Romagnola (Cesenatico). Valutazioni quantitative, seppur preliminari, della perturbazione del campo di sforzo indotta dai terremoti nella zona pesarese, con le metodologie indicate da Viti et alii (2012), suggeriscono che nell’arco di un anno i massimi effetti di questi eventi sul campo di deformazione (non necessariamente accompagnati da scosse forti) potrebbero interessare le faglie nell’Appennino forlivese e nella zona dell’Alta Valtiberina (indicate dalle linee rosse in figura)“.

La plausibilità delle interpretazioni geodinamiche proposte dal nostro gruppo di ricerca – aggiunge ancora Mantovaniè fortemente sostenuta dal fatto che le sue implicazioni sono perfettamente compatibili con l’enorme quantità di evidenze disponibili (e.g., Mantovani et alii., 2020; 2022; Viti et alii, 2021). Inoltre, va considerato che il riconoscimento delle zone sismiche più esposte alle prossime scosse forti basate su tali conoscenze ha permesso di individuare con anni di anticipo le zone italiane che sono state poi colpite dai forti terremoti più recenti (2016 e 2017 nelle zone dell’Aquilano e Norcia, M= 6.2, 5.6, 5.5, 6.1, 6.6, 5.7, 5.6, e il recente terremoto del Pesarese  del 9 novembre 2022, M=5.5). In conclusione, è molto importante precisare che le conoscenze attuali non permettono di fornire informazioni su quando le zone segnalate come prioritarie saranno colpite da scosse forti. Le considerazioni qui riportate possono solo costituire un ulteriore incentivo a impegnare sempre più risorse pubbliche e private per la messa in sicurezza degli edifici nelle zone qui segnalate, auspicando che tali iniziative possano essere necessarie in tempi più lontani possibile“.

Per quanto riguarda l’Appennino settentrionale – conclude l’esperto – è utile sapere che le informazioni sopra descritte (Mantovani et alii, 2018) sono da tempo a disposizione della Regione Toscana, che le ha utilizzate per organizzare una distribuzione mirata degli interventi di prevenzione. Tramite le numerose iniziative adottate negli anni passati dalla Regione il rischio sismico è stato significativamente ridotto, con particolare riguardo alla zona dell’Alta Valtiberina. Informazioni analoghe sono state fornite anche ai responsabili delle politiche di prevenzione della Regione Emilia-Romagna. Qualunque Ente o Responsabile che sia interessato ad acquisire informazioni più dettagliate sulle considerazioni e argomentazioni citate può contare sulla disponibilità del nostro gruppo di ricerca“.

Pubblicazioni citate

Mantovani, E., Viti, M., Babbucci, D., Tamburelli, C., Cenni, N., Baglione, M. and D’Intinosante, V., 2016. Recognition of Peri-Adriatic Seismic Zones Most Prone to Next Major Earthquakes: Insights from a Deterministic Approach. In: D’Amico, S., Ed., Earthquakes and Their Impact on Society, Springer Natural Hazard Series, Springer International Publishing, Berlin, 43-80. https://doi.org/10.1007/978-3-319-21753-6_2

Mantovani, E. , Viti, M. , Babbucci, D. , Tamburelli, C. and Cenni, N., 2017. Possible Location of the Next Major Earthquakes in the Northern Apennines: Present Key Role of the Romagna-Marche-Umbria Wedge. International Journal of Geosciences, 8, 1301-1314.  https://doi.org/10.4236/ijg.2017.811075

Mantovani E., Viti M., Babbucci D., Tamburelli C., Vannucchi A., Baglione M., D’Intinosante V., Cenni N., 2018. Stima aggiornata della pericolosità sismica in Toscana e aree circostanti. Universitas Studiorum Ed., ISBN 978-88-3369-014-8, pag. 3-88.

Mantovani E., Viti M., Babbucci D., Tamburelli C., Cenni N., 2020. Geodynamics of the Central Western Mediterranean region: Plausible and non-plausible driving forces. Marine and Petroleum Geology, 113, Article ID: 104121, https://doi.org/10.1016/j.marpetgeo. 2019.104121.

Mantovani E., Viti M., Babbucci D., Tamburelli  C., Baglione M., D’Intinosante V. (2022). Short-term kinematics of the Adria plate and space-time distribution of major peri-Adriatic earthquakes. International Journal of Geosciences, 13, 1057-1081, https://doi.org/10.4236/ijg.2022.1312054.

Viti M., Mantovani E., Cenni N., Vannucchi A. (2012). Post-seismic relaxation: An example of earthquake triggering in the Apennine Belt (1915-1920). Journal Geodynamics, 61, 57-67, https://doi.org/10.1016/j.jog.2012.07.002.

Viti M., Mantovani E., Babbucci D., Tamburelli C., Caggiati M., Riva A. (2021). Basic Role of Extrusion Processes in the Late Cenozoic Evolution of the Western and Central Mediterranean Belts. Geosciences, 11, Article No. 499, https://doi.org/10.3390/geosciences11120499.

 

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