“In tragedie come quella avvenuta a Courmayeur il cambiamento climatico non c’entra assolutamente nulla. Questi sono, purtroppo, fenomeni che avvengono molto frequentemente durante l’inverno su Alpi e Appennini. Le vittime delle valanghe ci sono sempre state. Basti pensare che, negli ultimi 30 anni, si registrano mediamente 30 vittime solo sull’arco alpino italiano ogni inverno”. Lo dice a LaPresse Massimiliano Fazzini geologo e climatologo, docente universitario e Referente del Team sul Rischio Climatico della Società Italiana di Geologia Ambientale, commentando l’incidente avvenuto ieri a Courmayeur, dove una valanga ha travolto e ucciso due turiste che sciavano fuoripista.
“La tragedia di ieri è stata determinata dal fatto che negli ultimi 15 giorni in quella zona è nevicato moltissimo, in 72 ore è caduta più neve che durante tutto l’inverno messo insieme, e si sono creati degli strati all’interno del manto nevoso a debole resistenza – strati deboli – e in più nella giornata di ieri c’era maltempo con forte vento da sud-ovest e persino un po’ di pioggia. Che può essere tranquillamente annoverata nella climatologia del mese di marzo a quote intorno ai 2mila metri”, aggiunge.
Fazzini: “Pericolo valanghe elevato”
“Quindi c’è stato proprio un mix di situazioni che hanno portato a definire il pericolo di valanghe come ‘marcato’, ovvero 3 su una scala da 1 a 5. La questione – spiega – è che un pericolo di valanghe marcato 3 non è un grado ‘intermedio’ come si potrebbe erroneamente pensare: è un pericolo molto più elevato di quello intermedio. La maggior parte delle vittime da valanga si hanno proprio con il grado 3″, avverte Fazzini.
“C’erano una serie di condizioni che, anche con un debole sovraccarico di due o tre sciatori, si è verificato il distacco della massa nevosa, poi neppure così grande, ma che è stata sufficiente a travolgere le sfortunate sciatrici”.