Meno frequenti ma sempre più intensi. I medicane, cicloni mediterranei simili a quelli tropicali, stanno richiamando l’attenzione della comunità scientifica, dei decisori politici e dell’opinione pubblica per il loro crescente impatto sulla nostra società. Uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS e pubblicato su Scientific Reports, rivista del Nature Publishing Group, ha analizzato per la prima volta il comportamento e l’evoluzione del medicane Apollo, dimostrando quanto le condizioni marine preesistenti abbiano guidato la risposta fisica e biogeochimica del mare al passaggio di eventi meteorologici estremi.
Recenti simulazioni hanno previsto una diminuzione della frequenza dei medicane in futuro, ma anche un aumento della loro intensità e durata nella regione del Mediterraneo, che è una delle aree su scala globale dove l’attività di ciclogenesi è più frequente. Nell’ottobre 2021 il Canale di Sicilia e le coste della Sicilia orientale sono state interessate dal passaggio del medicane Apollo, evento caratterizzato da intense precipitazioni e ingenti allagamenti costieri, che ha provocato sette vittime e numerosi danni in Sicilia e Calabria.
“La forte perturbazione ha attraversato un’area del Mar Ionio caratterizzata dalla presenza di un vortice oceanico ciclonico e questo ci ha permesso di descrivere, per la prima volta, l’impatto di un ciclone atmosferico su un ciclone marino nel Mar Mediterraneo” spiega Milena Menna, ricercatrice dell’OGS e prima autrice dello studio. “Durante l’evento, abbiamo monitorato il Mar Ionio con strumenti oceanografici autonomi (drifter e float) e abbiamo analizzato i loro dati insieme ai dati satellitari e ai modelli matematici disponibili, scoprendo delle risposte fisiche e biogeochimiche del mare diverse da quelle riscontrate durante i medicane precedenti” precisa Menna.
Le risposte osservate durante i medicane precedenti mostrano un raffreddamento dello strato superficiale, direttamente a contatto con l’atmosfera, e un trasporto di calore verso lo strato sottostante. Nel caso di Apollo, la presenza del ciclone marino lungo la sua traiettoria porta al raffreddamento di tutta la colonna d’acqua interessata dall’evento, favorendo la risalita verso la superficie di ossigeno, clorofilla e nutrienti, che rendono quest’area più produttiva da un punto di vista biologico. Inoltre, la presenza di acque fredde all’interno del ciclone marino contribuisce anche a smorzare l’intensità di Apollo che, come tutti i medicane, trae energia dalla presenza di acque molto calde.
“La risposta oceanica osservata e i risultati del nostro studio dimostrano la necessità di un sistema osservativo multipiattaforma che integri le osservazioni in-situ, i dati satellitari e i modelli operativi per poter conoscere meglio questi eventi estremi, poterli prevedere ed essere in grado di mitigarne gli effetti” conclude Cosimo Solidoro, direttore della sezione di oceanografia dell’OGS.