Oltre 900 milioni di capi di abbigliamento in plastica, usati e non riciclati, sono finiti in Kenya, nel 2021. Circa 150 milioni provengono dall’Europa e dal Regno Unito. Oltre un milione arriva dall’Italia. Sono alcuni dei dati contenuti in una recente indagine condotta da Clean Up Kenya, una campagna fondata nel 2015.
L’inchiesta è stata chiamata Trashion, un termine formato dalle parole “trash (spazzatura) e fashion (moda). Lo studio è stato realizzato con Wildlight per Changing Markets Foundation e mette in evidenza “la dipendenza della fast fashion da tessuti di plastica a basso costo per produrre abiti che non sono progettati per essere riparati o riciclati e che sono sempre più considerati usa e getta”.
I numeri e l’impatto della fast fashion
L’impatto della moda, soprattutto di quella di bassa qualità, è enorme. Per produrre i 6,6 milioni di tonnellate di tessuti consumati nel vecchio continente sono state emesse 121 milioni di tonnellate di CO2, pari a 270 chilogrammi a persona. Negli ultimi 20 anni il fenomeno della fast fashion ha trainato il consumo dei prodotti tessili. È stato calcolato che un vestito fast fashion viene indossato in media solo 8 volte prima di essere buttato. Il 40% dei vestiti sono scartati quasi subito perchè perdono di elasticità, si logorano facilmente e perdono rapidamente il colore. Non solo, attualmente si stima che oltre i due terzi dei tessuti siano realizzati in plastica e si prevede che questa percentuale aumenterà fino al 73% entro il 2030.
Rispetto a 20 anni fa, infatti, la durata di un capo d’abbigliamento è scesa del 36%. Lo ha stabilito l’Agenzia europea dell’ambiente che ha calcolato l’impronta del settore tessile indicando alcune priorità per invertire la rotta e andare verso un consumo sostenibile e circolare. Anche in questo caso riuso, riciclo ed economia circolare potrebbero invertire la rotta di un mercato devastante, per l’ambiente e per le persone.
Il vintage: un mercato in forte crescita
Con una crescita tre volte superiore rispetto a quella del tradizionale mercato dell’abbigliamento, quello dei vestiti usati sembra essere un mercato che ha attirato l’attenzione di moltissimi consumatori. Gli acquisti vengono effettuati attraverso app specifiche dedicate al vintage, o direttamente nei diversi mercatini dell’usato, che ormai si trovano facilmente in tutte le città d’Italia. Sono diversi i fattori che hanno contribuito alla crescita di questo settore, tra questi troviamo anche la pandemia che ha avuto un grande impatto sul settore della moda.
Quella del second hand è una crescita che dimostra il cambio di prospettiva e di abitudini dei consumatori, che iniziano ad avere una visione della moda più etica e sostenibile. Per quanto riguarda il settore dell’abbigliamento infatti, i canali dell’usato pesano molto sull’economia. Inoltre quasi la metà dei consumatori appartenenti alle nuove generazioni, prima di effettuare un acquisto, tiene in considerazione anche il suo possibile valore nel mercato del riciclo.
Le app second hand
Le app dell’usato, dette anche second hand, non hanno reso solo più semplice comprare l’usato, ma hanno anche dato vita al fenomeno del decluttering. Con l’arrivo del fast fashion infatti, i nostri armadi si sono sempre più riempiti di abiti che nella maggior parte dei casi rimangono inutilizzati. In questo senso, un app ormai molto conosciuta come Vinted ha reso questo processo estremamente semplice. Basta infatti fotografare i capi che si vogliono vendere, fissare un prezzo e aspettare che qualcuno lo compri o rilanci un altro prezzo prima di effettuare la spedizione.
Attraverso il modello del mercatino dell’usato, un’altra app, Wallapop è riuscita a favorire un modello di consumo più sostenibile e consapevole. Ha consentito infatti ai consumatori di partecipare all’economia circolare e di estendere la vita dei più svariati prodotti. Il modello di business multi-categoria ha infatti riscosso un enorme successo nel mercato italiano.