“Siamo giunti ormai alla metà di aprile, lasciandoci alle spalle i giorni nei quali, storicamente, si segna il picco di accumulo della neve in Italia, quelli intorno alla metà di marzo. In altre parole, oggi i conti che possiamo fare per quanto riguarda la neve italiana sono quelli conclusivi per la stagione 2022/23, sui quali possiamo e dobbiamo basare le nostre strategie per la gestione idrica dei mesi a venire. E, purtroppo, non fanno che ribadire un andamento osservato nel corso di tutti i mesi invernali: poche precipitazioni e temperature miti che hanno portato a un significativo deficit di neve rispetto al decennio passato. Con questa scarsità dovremo fare i conti per le nostre necessità d’acqua in primavera ed estate“: a fare il punto sono gli esperti del Centro Internazionale per il Monitoraggio Ambientale CIMA Research Foundation. “Il nostro ambito Idrologia e Idraulica ha monitorato attentamente la situazione nel corso dei mesi, registrando le precipitazioni e stimando l’equivalente idrico nivale (in inglese SWE- Snow Water Equivalent), la variabile che definisce la quantità d’acqua presente nella neve al suolo. I dati parlano chiaro: ad aprile, a livello nazionale, il deficit rispetto ai precedenti 12 anni è del -64%. Solo a metà gennaio, le nevicate intense avevano parzialmente migliorato la situazione, ma le temperature elevate registrate a febbraio e marzo hanno dato il via ad una fusione rapida della neve che era riuscita a depositarsi“.
“I dati più recenti indicano che la neve oggi disponibile a metà aprile è la stessa quantità che, storicamente, abbiamo nel mese di giugno inoltrato – specialmente sul Po: in altre parole, è come se ci trovassimo due mesi in avanti rispetto alla classica fusione nivale stagionale. Entriamo quindi nei mesi nei quali la richiesta di approvvigionamento idrico si fa più importante con due mesi di fusione che saranno probabilmente mancanti,” spiega Francesco Avanzi, ricercatore dell’ambito Idrologia e Idraulica di Fondazione CIMA. “E se già lo scorso anno la scarsità di neve si era fatta sentire nel corso della siccità estiva, oggi chiudiamo con appena la metà della neve disponibile rispetto al 2022“.
Il picco di neve si registra, in Italia, a marzo. Quest’anno è stato tra i più bassi negli ultimi 12 anni: tutte le regioni hanno infatti riportato un’anomalia negativa, secondo il report della Fondazione CIMA.
“Andando a guardare i dati più nel dettaglio, le Alpi (dalla Liguria al Friuli-Venezia Giulia) sono quelle che segnano i deficit più significativi, con un -67% rispetto al periodo storico. Come abbiamo più volte ricordato, però, sono proprio questi monti i più importanti per quanto riguarda la disponibilità d’acqua nella nostra penisola: riforniscono infatti il bacino del Po, il più esteso del paese e di enorme importanza economica. Bacini come quello del Po o dell’Adige mostrano deficit ancora più importanti rispetto a quello delle Alpi: -66% per il Po, e addirittura -73% per l’Adige,” proseguono gli esperti.
D’altronde, “le condizioni sugli Appennini (che ospitano, in media, il 10% dell’equivalente idrico nivale nazionale) sono comparabili, con un deficit che si attesta al -58%. Come già accennato, le nevicate a gennaio avevano concesso una breve ripresa alla neve, ma le temperature si sono rapidamente alzate, e sono rimaste miti tra febbraio e aprile. Il risultato è stato una fusione anticipata del manto nevoso, tale da non consentire di “fare scorta” di questa preziosa risorsa”.
“Questa dinamica non fa che rimarcare l’importanza della similitudine che tanto spesso impieghiamo per riferirci all’accumulo di neve: non è una 100 metri, in cui possiamo contare su un rapido scatto per colmare le distanze, bensì una maratona che richiede diversi mesi di condizioni idonee (precipitazioni abbondanti e temperature sufficientemente rigide),” commenta Avanzi. “Infatti, le nevicate sporadiche, per quanto anche piuttosto abbondanti, non hanno riequilibrato la condizione della neve rispetto al periodo storico“. La condizione del fiume Tevere ne è un buon esempio: nonostante le abbondati nevicate sugli Appennini, infatti, la rapida fusione della neve ha determinato condizioni ora che sono più paragonabili a quelle alpine.
“Se, dunque, il 2022 era già stato un anno caratterizzato dalla siccità, l’estate 2023 non sarà in condizioni migliori,” concludono gli esperti della Fondazione CIMA. “Proprio quando le nostre attività, dall’agricoltura alla produzione di energia idroelettrica – ma anche gli ecosistemi naturali – avranno maggior bisogno di acqua, questa probabilmente scarseggerà, perché non potremo contare su quella riserva strategica, la neve, che dovrebbe essere retaggio dell’inverno, e perché è già il secondo anno di siccità di fila per l’Italia“.
“In sintesi, l’inverno 2022-23 è stato un racconto che ha avuto per protagoniste le scarse precipitazioni, che hanno impedito l’accumulo di neve, e le temperature miti, che hanno invece giocato anticipando la fusione della poca neve disponibile. D’altronde, in un mondo caratterizzato da temperature sempre più elevate, anche le nevicate più abbondanti sono messe a dura prova,” conclude Avanzi. “Sebbene ci siano davanti a noi dei mesi solitamente più piovosi, come aprile e maggio, la fusione nivale è lenta e costante… È il metodo perfetto affinché l’acqua si infiltri nei terreni e quindi ricarichi le nostre falde. Questo meccanismo è meno significativo con le piogge intense tipiche dei mesi estivi, e questo è un altro elemento che ci porta a guardare con attenzione all’estate – un periodo che, ultimamente, è anche caratterizzato da temperature molto elevate che non fanno altro che aumentare la domanda d’acqua: la tempesta perfetta, insomma. Come Fondazione CIMA, continueremo a monitorare la situazione e la disponibilità di risorsa idrica nei prossimi mesi, seguendo la siccità in corso e i suoi impatti sul territorio“.