“Se fin dai primi mesi della comparsa della Xylella in Italia nel 2013 fossero state seguite le misure indicate dagli scienziati per il contenimento del batterio, in primis gli abbattimenti degli alberi infetti, è molto probabile che l’epidemia sarebbe rimasta circoscritta e contenuta. Purtroppo hanno invece molto pesato le fake news che allora si diffusero”. A sottolinearlo all’ANSA è Donato Boscia, dell’Istituto per la protezione sostenibile delle piante del Cnr e membro del team Cnr-Università di Bari che per primo, dieci anni fa, identificò la presenza del batterio killer in Puglia.
“Il contenimento attraverso misure drastiche di abbattimento delle piante, vista la pericolosità del batterio, era d’altronde già previsto anche dall’Unione europea e se in Italia fosse stato subito seguito tale protocollo è probabile che l’epidemia non sarebbe avanzata. A fine 2013 – spiega Boscia – erano infatti 8mila gli ettari di terreno in Puglia interessati dalla Xylella. Ora, dopo dieci anni e con i ritardi cumulatisi nelle misure di contenimento, purtroppo il territorio colpito dalla presenza del batterio conta una superficie 100 volte più grande“. Quella “esitazione iniziale ha cioè pesato in modo rilevante: già allora non vi erano purtroppo le condizioni per tentare una eradicazione del batterio, ma l’abbattimento – afferma – sarebbe stato decisivo per il contenimento dell’epidemia. In questi casi la tempestività dell’azione è cruciale“.
Un esempio concreto è rappresentato dal caso del territorio di Oria, a 40km dai focolai e più isolato. “Nel 2015 – rileva l’esperto – non fu possibile completare il piano di abbattimento degli ulivi malati nell’area e questo favorì inesorabilmente l’avanzata dell’epidemia verso il nord della Puglia. Attualmente l’emergenza è alle porte di Bari, ma allora c’erano le condizioni per circoscrivere l’epidemia contenendola solo nel territorio più a sud colpito”. Il piano dell’allora commissario straordinario Silletti, ricorda Boscia, “prevedeva l’abbattimento di 3mila ulivi tra Brindisi e Lecce, ma ne vennero abbattuti con difficoltà solo la metà; poi, con iniziative anche giudiziarie e dei Tar, il programma venne interrotto“.
Tante, sottolinea lo scienziato, “le fake news che hanno contribuito a determinare tali ritardi: prima la negazione dell’esistenza del batterio, poi l’affermazione che fosse in realtà innocuo e che fosse alla base di operazioni di multinazionali che miravano all’impianto di fantomatici ulivi transgenici, che in realtà non esistono“. A pesare in modo decisivo, conclude, “è stato dunque l’atteggiamento negazionista, come è successo per la pandemia di Covid-19, che ha portato alle drammatiche conseguenze che oggi vediamo“.