E’ ufficiale: l’uomo con le sue attività dannose per l’ambiente ha alterato il 75% delle terre emerse e il 66% dei mari, causando la perdita dell’80% della biomassa, ovvero il “peso” complessivo, composta dai soli mammiferi e almeno il 50% di quella dei vegetali. Uno studio avanzato sull’argomento pubblicato di recente su Science da 18 esperti internazionali coordinati da Hans-Otto Pörtner, dell’Istituto Alfred Wegener in Germania ha evidenziato come i problemi derivati dal riscaldamento globale e dalla perdita di biomassa debbano essere affrontati in modo sinergico. Alcune soluzioni sono oggi ancora possibili.
“La crisi climatica che noi stessi abbiamo causato, è probabilmente la più grande sfida che l’homo sapiens abbia affrontato nei suoi 300.000 anni di storia“, ha detto Pörtner. “Eppure – ha aggiunto – allo stesso tempo si sta verificando un’altra crisi altrettanto pericolosa ma spesso trascurata: la drammatica perdita di specie animali e vegetali in tutto il pianeta”.
Secondo i ricercatori, la crisi climatica e la crisi della biodiversità sono connessi e si amplificano a vicenda. Per questa ragione, non dovrebbero mai essere considerati elementi separati, perché il riscaldamento globale e la distruzione degli habitat naturali provocano la perdita di biodiversità, e riducono anche la capacità degli organismi, suoli e sedimenti di immagazzinare carbonio, il che è un aggravante alla crisi climatica in atto.
“Inutile dire che una massiccia riduzione delle emissioni di gas serra e il raggiungimento dell’obiettivo di 1,5°C continuano ad essere in cima alla lista delle priorità“, ha detto Pörtner. Ma possono essere scelte altre iniziative complementari, ad esempio proteggere il 15% delle zone terrestri sfruttate per attività umane sarebbe sufficiente a prevenire il 60% degli eventi di estinzione previsti e allo stesso tempo assorbire il 12% del carbonio (in particolare CO2) emesso negli ultimi 100 anni.