Anche in Italia è in corso un boom anomalo di mortalità: 70 mila morti in più rispetto alla media pre-Covid

Aumento della mortalità di oltre il 10% in Italia nel 2022 rispetto alla media pre-pandemia: crescono i dubbi sugli effetti avversi della vaccinazione di massa
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L’Istat ha pubblicato nei giorni scorsi i dati definitivi sulla mortalità del 2022 in Italia. Complessivamente, lo scorso anno nel nostro Paese sono morte 713.499 persone, in netto aumento (+10,5%) rispetto alla media storica pre-pandemia (2015-2019), quando morivano in media 645.619 persone l’anno. In termini assoluti, significa che lo scorso anno in Italia sono morte 68 mila persone in più rispetto a quante ne morivano ogni anno prima della pandemia, cioè una città grande come Imola.

Nel 2022, però, il Covid-19 era già un lontano ricordo. Più che il virus, l’unico elemento sanitario rilevante da segnalare è che la popolazione nazionale risulta iper-vaccinata contro il Covid (91% degli over 12 con due dosi, 69% addirittura con tre dosi). L’anomalia principale di mortalità è stata proprio nelle classi di età iper-vaccinate: dagli over 55 in su, mentre nei giovani e soprattutto negli under 12 (dove i vaccinati sono pochissimi) c’è stato un netto calo della mortalità rispetto ai periodi pre-pandemia.

Il dato più preoccupante è che nel 2022 sono morte addirittura più persone che nel 2021 (709.035 vittime), sfiorando addirittura il dato del 2020, l’anno peggiore del Covid-19 con 746.146 morti annui nazionali, il dato peggiore in assoluto dalla seconda guerra mondiale. I dati, quindi, ci dicono che stiamo vivendo tranquillamente senza più il Covid-19, ma abbiamo lo stesso numero di morti dei giorni peggiori della pandemia. Un numero esorbitante rispetto ai dati antecetenti al 2020, e che certamente – a differenza del 2020 stesso – oggi non si può più spiegare con il virus.

Una situazione analoga si sta verificando anche negli altri Paesi europei, come già segnalato in precedenza:

Costa sta succedendo?

Ecco i dati Istat:

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Aspettativa e speranza di vita: i dati forniti dall’Istat

I livelli di sopravvivenza del 2022, sottolinea Istat, risultano ancora sotto quelli del periodo pre-pandemico, registrando valori di 6 mesi inferiori nei confronti del 2019, sia tra gli uomini che tra le donne. Sebbene il rallentamento della speranza di vita delle donne rispetto agli uomini costituisca un processo ravvisabile già in anni precedenti la pandemia, quest’ultima può aver acuito il trend.

L’impatto della crisi sul sistema sanitario, e la conseguente difficoltà nella programmazione di visite e controlli medici, osserva ancora Istat, potrebbero esser state particolarmente forti per le donne, più inclini degli uomini a fare prevenzione.

E in proposito Istat ricorda che dai dati dell’indagine “Aspetti della vita quotidiana” risulta che tra il 2019 e il 2021 la percentuale di donne che ha dichiarato di aver rinunciato a prestazioni sanitarie sia aumentata di 5 punti percentuali (dal 7,5% al 12,7%), per gli uomini tale aumento è stato invece di 4 punti percentuali (dal 5% al 9,2%).

Nel Nord la speranza di vita alla nascita è di 80,9 anni per gli uomini e di 85,2 per le donne; i primi recuperano circa un mese rispetto all’anno precedente al contrario delle donne che invece lo perdono.

Il Trentino-Alto Adige è ancora la regione con la speranza di vita più alta sia tra gli uomini sia tra le donne, il Friuli-Venezia Giulia è invece la regione che ha registrato il maggior guadagno rispetto all’anno precedente, circa sei mesi per entrambi i sessi.

Il Centro è l’unica area per cui si registrano incrementi di sopravvivenza in tutte le regioni, anche se lievi, rispetto al 2021: per gli uomini l’incremento è dello 0,2, mentre per le donne dello 0,1. La speranza di vita più alta tra gli uomini si annota in Toscana (81,3), per le donne nelle Marche (85,4).

Anche il Mezzogiorno nel complesso fa registrare gli stessi incrementi del Centro, ma al suo interno ha una situazione più eterogenea. Si passa da regioni come Molise (solo per gli uomini) e Puglia, dove i guadagni rispetto all’anno precedente sono intorno ai 6 mesi di vita, alla Sardegna, dove la forte mortalità ha fatto sì che si sia perso circa mezzo anno di vita per entrambi i sessi. Quest’ultima è la regione dove la quota di rinunce a prestazioni sanitarie è più elevata (nel 2021 era pari al 18,3% contro il dato nazionale dell’11%). La Campania, con valori della speranza di vita di 78,8 anni per gli uomini e di 83,1 per le donne, resta la regione dove si vive meno a lungo.

La spiegazione di fondo, in conclusione, scrive Istat nel suo rapporto “è che le variazioni congiunturali della speranza di vita che si stanno rilevando nell’ultimo triennio siano ancora fortemente correlate a quella che è stata l’evoluzione della pandemia dal 2020 in poi. I parziali recuperi di quanto perso nel periodo più critico (che è stato diverso da regione a regione) sono dipesi sia dall’efficienza del sistema sanitario, pesantemente sottoposto a pressione, sia dalla preoccupazione che psicologicamente può aver indotto le persone (soprattutto se donne e se fragili) ad avvalersi meno che in passato dei servizi medico-sanitari”.

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