Da poco è stata elaborata una curiosa teoria: uno dei tratti evolutivi che avrebbero permesso ai primi anfibi di stare sulla terraferma potrebbe essere legato alla capacità di sbattere le palpebre. Queste sono le conclusioni di una ricerca che sono state pubblicate sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. Lo studio è stato sviluppato dagli scienziati della Penn State University e della Seton Hill University.
Il team degli esperti, coordinato da Thomas Stewart e Brett Aiello, ha studiato esemplari di Periophthalmodon Septemradiatus, noto anche come mudskipper, una specie di pesci che si trova nelle acque marine, salmastre e dolci dall’India all’Indonesia. Gli esperti ritengono che questi animali trascorrano gran parte della loro giornata al di fuori dall’acqua. Essi hanno, inoltre, sviluppato la capacità di chiudere e aprire le palpebre.
La particolarità degli anfibi
Questo tratto evolutivo, secondo quanto rendono noto i ricercatori, accomuna l’intero gruppo di tetrapodi, ovvero l’insieme di mammiferi, uccelli, rettili e anfibi che circa 375 milioni di anni fa ha mosso i primi passi sulla terraferma. “Battere le palpebre – ha spiegato Stewart – è importante per molte ragioni, ad esempio permette di mantenere gli occhi bagnati e puliti, protegge da lesioni, e allo stesso tempo è utile per scopi comunicativi. Capire come si sia evoluto questo comportamento può essere impegnativo, perché i cambiamenti anatomici che consentono di chiudere le palpebre riguardano principalmente i tessuti molli, che non si conservano nella documentazione fossile“.
Il Septemradiatus, che ha iniziato a sviluppare questo comportamento in modo indipendente, può essere preso come oggetto di studio per esaminare questi meccanismi. Gli scienziati hanno analizzato dei video di mudskipper, confrontando i loro atteggiamenti con quelli osservati in specie parenti ma incapaci di sbattere le palpebre. Gli occhi del mudskipper sporgono dalla sommità della testa, in modo simile alle rane.
Cosa accade quando questi anfibi battono gli occhi
Quando batte le palpebre, il pesce ritrae momentaneamente gli occhi nelle orbite, dove si trova una membrana elastica. “Questo tratto – ha affermato Aiello – sembra essersi evoluto attraverso un riarrangiamento dei muscoli esistenti che ha favorito la formazione di questo tessuto elastico. Il nostro lavoro suggerisce che, proprio come noi, i Septemradiatus battono le palpebre più frequentemente quando hanno gli occhi asciutti. L’aspetto curioso è che questi animali non hanno ghiandole o dotti lacrimali, ma il battito di palpebre sembra in grado di proteggere i bulbi oculari da possibili lesioni e dall’ingresso di corpi estranei nell’occhio“.
Nei tetrapodi, come hanno reso noto gli studiosi, “chiudere e aprire gli occhi è un’azione involontaria, ma complessa e affascinante, legata a molteplici funzioni, fondamentali per la salute e il benessere dell’occhio“. “Il nostro lavoro – ha concluso Stewart – suggerisce che il comportamento di chiusura delle palpebre nel mudskipper si sia evoluto in modo indipendente rispetto ai primi anfibi che hanno raggiunto la terraferma. Dato che però questo tratto sembra legato alle stesse funzioni, ipotizziamo che sia legato all’insieme di proprietà che si sono sviluppate in relazione all’adattamento dalla vita acquatica a una terrestre“.