Maria Augusta Marrosu, che era stata a capo della Prefettura di Treviso per poco più di anno, risulta fra i 65 indagati per un giro di falsi certificati che mette al centro un centro di medicina privata a Fiera “Io il covid l’ho avuto e sono stata anche male. Qua vicino a me c’è invece mio marito, che ha fatto il vaccino ed ora ha problemi di deambulazione legati all’iniezione”. Si difende così Maria Augusta Marrosu, prefetto a Treviso per poco più di un anno prima di essere rimossa nel luglio del 2015 dall’allora ministro Alfano per la gestione dell’accoglienza dei profughi, dalle accuse che gli vengono mosse dalla Procura di Treviso, che l’ha indagata (ma lei sostiene di non avere ancora ricevuto nulla) nell’ambito della vasta inchiesta, condotto dai Nas di Treviso e coordinata dal sostituto procuratore Mara De Donà, sul cosidetto scandalo dei falsi Green Pass.
La positività sarebbe stata caricata sul portale della Regione e poi, dopo il periodo di quarantena (in questo caso solo simulata) veniva registrata la negativizzazione. Secondo le indagini c’era anche la possibilità, per chi non voleva fingere di avere il Corona virus, di avere a disposizione delle certificazioni contraffatte, scaricate dalla rete, che attraverso dei Qr code trovati su internet (sottratti ad ignari cittadini) sarebbero stati distribuiti ai “no Vax”, consentendo l’ingresso in locali pubblici, ristoranti e pizzerie, teatri e cinema che al tempo erano sottoposti alle restrizioni.
L’indagine sulla Marrosu
“Ho appreso dai giornali di essere indagata – dice la Marrosu – a me non è stato ancora notificato nulla. Sono sbalordita di essere rimesta invischiata in questa storia: io ho avuto il Covid e sono stata male. Ho fatto il periodo di quarantena e poi mi sono negativizzata, tutto qua. Dei raggiri non ne sapevo nulla”. L’ex prefetto poi aggiunge però un riferimento alle condizioni del marito. “Lui non riesce più a muoversi per dei problemi alle gambe. Colpa del vaccino? Chiedetelo ai medici che lo hanno in cura a chi si deve attribuire la responsabilità di quello che gli è successo.”
A portare i carabinieri del Nas a svelare questo “vaso di Pandora” sarebbe stati alcuni riscontri secondo cui una parte dei certificati sarebbero stati firmati dalla direttrice sanitaria di “Salute e Cultura” e dalla responsabile organizzativa quando queste erano assenti, costrette a casa in malattia proprio per avere contratto il Corona virus. Successivamente gli investigatori si sarebbero anche accorti che altri portavano invece la data di quando le tre principali indagate, durante l’estate del 2021, erano in ferie e lontane da Treviso.