La regione più esposta al riscaldamento globale è sicuramente l’Artico: in queste aree remote gli aumenti di temperatura sono sproporzionatamente più elevati rispetto al resto del pianeta, un fenomeno noto come “amplificazione artica” che solo i satelliti possono vedere e documentare con i loro “occhi”. Per monitorare i cambiamenti climatici in queste aree remote vi sono i satelliti dell’Agenzia Spaziale Europea, ormai strumenti indispensabili per comprendere e monitorare le profonde modifiche dovute al riscaldamento globale in tutto il il mondo: è questa è la conclusione di uno studio pubblicato sulla rivista Remote Sensing e coordinato dallo studioso Igor Esau del Centro ambientale e di telerilevamento di Nansen, in Norvegia.
L’emergenza avvenuta a maggio 2020 è la prova dell’importanza del telerilevamento, quando 20mila tonnellate di petrolio sono fuoriuscite da una centrale elettrica vicino a Norilsk, in Russia, contaminando il fiume Ambarnaya e il lago Pyasino. Il disastro, il cui costo ha superato i 2 miliardi di dollari, è stato causato dal crollo di un pilastro dopo che il terreno era diventato instabile per lo scioglimento del permafrost.
In quel periodo, la missione dell’Esa Sentinel-2 del programma Copernicus ha consentito di analizzare in dettaglio la situazione e di attribuire l’incidente al riscaldamento globale. Altri satelliti dell’Esa come CryoSat e Copernicus Sentinel-3 sono in grado di misurare con precisione lo spessore del ghiaccio marino artico, consentendo ai ricercatori di valutare i cambiamenti in corso. La missione Smos, dedicata all’acqua, e Copernicus Sentinel-1 completano i dati fornendo misurazioni della salinità dell’oceano e mappature complete del ghiaccio marino in qualsiasi condizione atmosferica. Ma i satelliti Esa hanno facilitato lo studio anche di altri parametri fondamentali per capire l’amplificazione artica, come la temperatura superficiale, la composizione atmosferica e l’albedo, cioè la quantità di luce riflessa da una superficie.