Con questa ricerca, gli esperti si sono prefissati l’obiettivo di ricostruire i genomi batterici di agenti patogeni precedentemente sconosciuti risalenti al Pleistocene. Il team di ricerca ha condotto uno studio, pubblicato sulla rivista Science, coordinato dagli scienziati del Leibniz Institute for Natural Product Research and Infection Biology, del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology e dell’Università di Harvard. Gli studiosi hanno esaminato il tartaro nei denti di 12 uomini di Neanderthal vissuti tra 102 e 40 mila anni fa, 34 umani vissuti tra 20 mila e 150 anni fa e 18 individui moderni.
Il tartaro, in effetti, si fossilizza di norma nel corso dell’esistenza, e la placca dentale diventa un cimitero di batteri mineralizzati. I ricercatori hanno ricostruito numerose specie batteriche orali, sviluppando una piattaforma biotecnologica per far rivivere i prodotti naturali presenti all’interno di batteri antichi. Questi microrganismi, come spiegano i ricercatori, possono costituire fucine di sostanze chimiche, ma l’analisi scientifica dei prodotti naturali ottenuti dai microbi è attualmente limitata ai soli batteri viventi.
Uno studio di genetica di avanguardia
“Dato che i batteri si trovano sulla terra da oltre tre miliardi di anni – osserva Christina Warinner, dell’Università di Harvard – esiste un’enorme diversità di prodotti naturali ancora sconosciuti che potrebbero svelare la storia del nostro passato microbico. Alcune di queste sostanze potrebbero avere importanti applicazioni future“. Al momento della fine del ciclo vitale di un organismo, spiegano gli scienziati, il suo DNA si degrada rapidamente e si frammenta.
La particolarità dell’operazione è che queste sezioni possono essere identificate, ma il materiale genetico antico non ha corrispondenza con quanto conosciuto oggi. Attualmente, le nuove applicazioni dell’informatica stanno rendendo possibile tecniche di ricostruzione dei frammenti di DNA per ottenere geni e genomi anche se sconosciuti.
Nuove specie di Chlorobium
Questa tecnica risulta, tuttavia, limitata dal degrado del materiale genetico. “Abbiamo dovuto ripensare completamente il nostro approccio – ha riferito Alexander Hubner, uno degli autori dello studio – ma siamo riusciti a ottenere tratti di materiale genetico con oltre 100mila paia di basi“. Nel dettaglio, gli scienziati hanno identificato nuove specie di Chlorobium mai descritte prima.
Successivamente, il gruppo di ricerca ha impiegato strumenti all’avanguardia per capire quali sostanze i batteri potessero sintetizzare. “Questo lavoro – commenta Martin Klapper, ricercatore post-dottorato presso il Leibniz Institute – rappresenta il primo passo verso un accesso più completo alla diversità chimica nascosta dei microbi del passato. Speriamo che questi risultati possano stimolare ricerche e iniziative simili volte a individuare nuovi potenziali antibiotici“.