Un gruppo di ricerca internazionale ha scoperto la causa di gigantesche frane sottomarine in Antartide che potrebbero aver generato tsunami che si sono estesi attraverso l’Oceano Meridionale. Il team, che comprende scienziate e scienziati dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale e dell’Università di Plymouth, ha scoperto strati di sedimenti poco compatti, ricchi di microscopiche alghe fossilizzate a centinaia di metri sotto il fondo marino.
Come raccontato nello studio appena pubblicato su Nature Communications, la presenza di questi strati all’interno di altri più spessi e compatti, ha fatto sì che in caso di terremoti l’area fosse suscettibile a cedimenti. Gli strati si sono formati in un periodo in cui le temperature in Antartide erano fino a 3°C più calde rispetto a oggi, quando il livello del mare era più alto e la calotta glaciale più piccola di quella attuale. Poiché ci sono altre zone del margine antartico che presentano caratteristiche simili, il gruppo di ricerca ritiene che ci sia la possibilità che episodi analoghi si ripetano.
Le frane sottomarine in Antartide
Analizzando gli effetti delle frane sottomarine del passato, si è giunti alla conclusione che futuri terremoti al largo della costa dell’Antartide potrebbero generare altre frane e che onde di tsunami associate a questi eventi potrebbero raggiungere le coste del Sud America, della Nuova Zelanda e del Sudest asiatico.
Le frane sono state scoperte nel Mare di Ross orientale nel 2017 durante la spedizione italiana ODYSSEA. L’area è stata poi rivisitata nel 2018 nel corso della 374ma spedizione dell’International Ocean Discovery Program (IODP) e in questa occasione sono state raccolte carote di sedimento da centinaia di metri sotto il fondo marino. Sulla base di questi campioni i fossili microscopici hanno permesso di comprendere com’era il clima nella regione milioni di anni fa e come si sono creati gli strati poco compatti nelle profondità del Mare di Ross.
Un progetto internazionale di perforazione scientifica dei fondali oceanici
Laura De Santis, ricercatrice dell’OGS, coautrice dello studio e co-coordinatrice della 374ma spedizione IODP commenta così la ricerca: “Le carote di sedimento che abbiamo analizzato sono state ottenute grazie al progetto internazionale di perforazione scientifica dei fondali oceanici attivo da oltre 50 anni nel campo delle Scienze della Terra. Il progetto si propone di indagare la storia del Pianeta Terra, le correnti oceaniche, i cambiamenti climatici, la vita degli esseri marini e i depositi minerali attraverso lo studio dei sedimenti e delle rocce presenti sotto il fondale degli oceani”.
Michele Rebesco, ricercatore dell’OGS e coautore dello studio aggiunge: “I dati geofisici analizzati (mappe del fondo del mare realizzate con ecoscandaglio multifascio e sezioni del sottosuolo prodotte con rilievi sismici), invece, sono stati principalmente ottenuti a bordo della nave da ricerca OGS Explora durante la spedizione del 2017, nell’ambito di due progetti congiunti finanziati dal Programma Nazionale di Ricerche in Antartide – PNRA e dal progetto europeo EUROFLEETS. Questi dati erano stati acquisiti principalmente per studi paleoclimatici, ma si sono poi rivelati fondamentali per posizionare alcuni dei siti di perforazione IODP e per identificare le frane di cui prima non si aveva conoscenza“.
Gli tsunami
Il nuovo studio è stato guidato da Jenny Gales, docente di idrografia ed esplorazione oceanica presso l’Università di Plymouth e membro della 374ma spedizione IODP, che conclude: “Le frane sottomarine rappresentano un grave dissesto del fondo marino con potenziale rischio di innesco di tsunami che possono portare a enormi perdite di vite umane. Le frane possono anche distruggere le infrastrutture, compresi i cavi sottomarini, con evidenti impatti economici e sociali. Grazie all’eccezionale qualità dei dati analizzati, per la prima volta siamo stati in grado di mostrare cosa ha causato queste frane in questa regione dell’Antartide e valutare anche l’impatto di simili eventi futuri in altre aree Antartiche. I nostri risultati evidenziano che abbiamo urgentemente bisogno di migliorare la nostra comprensione del margine antartico e di come il cambiamento climatico globale può influenzare la stabilità di queste regioni e la possibilità di futuri tsunami”.