E’ stata realizzata la mappa della diversità del genoma umano: se finora il termine di confronto per analizzare il DNA era una sorta di sequenza artificiale, ora si può confrontare ogni mappa del DNA di un individuo con le mappe genetiche di tutti gli altri, facendo emergere caratteristiche finora impossibili da vedere. Il risultato si deve al consorzio internazionale Human Pangenome Reference, ed è pubblicato in 4 articoli sulle riviste Nature e Nature Biotechnology, anche con il contributo di italiani.
Così è stata avviata la rivoluzione del Pangenoma, che promette diagnosi e cure molto più precise, dalle malattie rare all’infertilità. A 22 anni dal primo libro della vita, risultato del Progetto genoma umano, adesso i ricercatori hanno ottenuto una libreria dei genomi umani teoricamente vasta quanto l’umanità, nella quale ogni individuo è descritto da due volumi.
La rivoluzione del DNA
Ogni libro corrisponde infatti a un aplotipo, ossia alla metà dei geni ereditati e localizzata in uno solo della coppia di cromosomi. Ad oggi i volumi della libreria sono 94, ossia due per ognuno dei 47 DNA di persone di etnie diverse finora messi in parallelo. L’obiettivo è arrivare a 350, ma è già chiaro che questo primo passo è un balzo in avanti rispetto al primo libro del DNA pubblicato nel 2001.
La nuova tecnica ha permesso infatti di aggiungere una grandissima quantità di nuove lettere, con 119 milioni di nuove di paia di basi, e 1.115 mutazioni, scrivono nel primo articolo i ricercatori del consorzio Human Pangenome Reference guidati dal genetista Benedict Paten, dell’Università della California a Santa Cruz. Rispetto al genoma di riferimento utilizzato negli ultimi 20 anni, indicato con la sigla GRCh38, il confronto a tappeto dei 47 DNA ha aumentato del 104% il numero di varianti rilevate, fornendo il primo quadro più completo della diversità genetica.
Tra gli autori dello studio anche due italiani
L’articolo è firmato anche dagli italiani Andrea Guarracino, che lavora fra l’Università del Tennessee e lo Human Technopole di Milano, Vincenza Colonna, che lavora fra l’Università del Tennessee e l’Istituto di Genetica e biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche a Napoli, arriva dall’Università di Pisa il contributo del bioinformatico Moses Njagi Mwaniki.
Guarracino è la prima firma anche di uno dei due articoli pubblicati su Nature che hanno già messo alla prova le potenzialità del pangenoma al servizio della ricerca, ottenendo risultati impensabili con la mappa del 2001. La ricerca è stata condotta nel laboratorio di Erik Garrison, dell’Università del Tennessee a Memphis e fra gli autori ci sono anche Colonna e la dottoranda Silvia Buonaiuto del Cnr-Igb. I ricercatori sono riusciti a osservare un meccanismo finora mai visto, con il quale particolari tipi di cromosomi scambiano il loro materiale genetico e che potrebbe essere all’origine di alcune forme di infertilità.
Lo studio dei nucleotidi
Lo studio coordinato da Evan Eichler dell’Università di Washington a Seattle, ha ottenuto la mappa delle variazioni all’interno di ciascuna delle quattro lettere del DNA (nucleotidi), caratterizzando milioni di variazioni analoghe e finora sconosciute.
C’è ancora tanto lavoro da fare, ma la strada è aperta, osservano le esperte di bioinformatica Arya Massarat e Melissa Gymrek, entrambe dell’Università della California a San Diego, commentando i risultati nello stesso numero di Nature. “Diventerà più facile scoprire le varianti genetiche responsabili di tratti fisici e di interesse clinico e tutto questo, si spera, potrà portare a benefici per la salute di molte persone“.
Il pangenoma, “un progresso incredibile con benefici per tutti”
“Un progresso incredibile” e dal quale si attendono “benefici per tutti“: i protagonisti della nuova fase della ricerca sul DNA umano, il pangenoma, non hanno dubbi sulla portata rivoluzionaria dei loro risultati. “Annunciamo un progresso incredibile, capace di portare a comprendere realmente la diversità umana e cruciale per i futuri risultati della ricerca scientifica e della medicina“, ha detto il direttore dello of Human Genome Reference Program, Eric Green, nella conferenza stampa online organizzata dalla rivista Nature.
La pubblicazioni di questi primi risultati è “una pietra miliare nella ricerca sul Dna“, ha detto ancora Green, sottolineando la grande collaborazione che, fra Stati Uniti ed Europa, ha visto bioinformatici e genetisti lavorare a quello che ormai è chiaramente un nuovo quadro per la ricerca genetica. “Abbiamo collaborato in centinaia a quello che è chiaramente un esempio di Big Science e un motore per l’innovazione tecnologica“, ha osservato Karen Miga, dell’Università della California a Santa Cruz.
Ci si auspica una “collaborazione internazionale aperta”
“E’ davvero un momento entusiasmante per la comunità scientifica, anche perché dopo questa prima fase del progetto, ancora molto tecnica, ci sarà una seconda fase di collaborazione internazionale molto aperta“, ha aggiunto. Per il futuro saranno necessarie anche nuove infrastrutture di ricerca, ha detto Eimear Kenny, della Mount Sinai School of Medicine di New York. “L’obiettivo è mettere a disposizione i benefici di questa ricerca alla maggior parte possibile di persone“, ha osservato Barbara Koenig, dell’Università della California a San Francisco.
In quest’ottica, i primi dati del pangenoma sono disponibili nel cloud, liberamente accessibili nella piattaforma AnVil, dell’Isituto di ricerca americano sul genoma umano dei National Institutes of Health. Ad accendere l’entusiasmo è la possibilità di scendere a un livello di dettaglio impensabile: “con il pangenoma possiamo vedere variazioni strutturali, finora molto difficili da capire e importanti sia per differenze fra individui o cause scatenanti di molte malattie“, ha detto Evan Eichler, dell’Università di Washington.
“Il progetto è molto agli inizi, ma – ha aggiunto – è già un modello per la comunità scientifica che studia il genoma: se si riesce a completare la sequenza genetica diventa possibile analizzare il genoma di un paziente all’interno di un quadro, una nuova cornice all’interno della quale cercare le variazioni legate alle malattie“, come la schizofrenia e le malattie rare. Anche per Benedict Paten, dell’Università della California a Santa Cruz, “siamo solo agli inizi della possibilità di riconoscere le caratteristiche genetiche legate a molte malattie“.