Avere un’età avanzata non significa necessariamente essere vecchi. A dirlo non sono più solo filosofi ottimisti ma medici, biologi, genetisti. “Il tempo” dice Franco Salvatore, biochimico di fama mondiale, Professore Emerito di Biochimica umana all’Università Federico II di Napoli, presidente del prestigioso istituto Ceinge – Biotecnologie Avanzate, “non è di per sé una causa di malattie e di alterazioni morbose che si verificano nel nostro organismo; sono semmai queste malattie che, quando si sviluppano, ci rendono dei vecchi. In altre parole, se noi riusciamo a prevenire in modo efficace, attivo e personalizzato le malattie, possiamo arrivare a tarda, tardissima età con una efficienza fisica e mentale molto prossima a quella di una persona giovane”. Un nuovo paradigma sull’invecchiamento, insomma.
Le prove? Al di là della semplice osservazione di come negli ultimi 150 anni l’aspettativa di vita sia più che raddoppiata grazie a migliori condizioni igieniche e ai progressi della medicina, ci sono vari studi scientifici che evidenziano come, agendo sull’ambiente, aumenti la durata della vita in ottima salute. Per esempio quello di Colman e collaboratori, durato vent’anni e pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Science, su due gruppi di scimmie Rhesus. Un gruppo veniva nutrito con un regime a basse calorie (ma non troppo scarse); il secondo lasciato libero di alimentarsi normalmente.
Lo studio sull’età biologica nelle scimmie Rhesus
Nel gruppo sottoposto a restrizione calorica si è vista, nel tempo, un’importante diminuzione dell’incidenza di malattie associate all’invecchiamento (diabete, cancro, problemi cardiovascolari, atrofia cerebrale) e un prolungamento della vita media: a 32 anni di età erano vive e sane l’80% delle scimmie sottoposte a restrizione calorica mentre delle altre era sopravvissuto (meno bene) il 50%. Notare che questo risultato è stato ottenuto solo facendole mangiare meno, mentre sono ben più numerosi i fattori ambientali che influenzano lo stato di salute.
“Per quanto riguarda l’uomo” prosegue il prof. Salvatore, “sono stati fatti numerosi studi negli ultimi 20 anni e tutti ci dicono che invecchiare male non dipende, se non in minor parte, dai geni. Lavori effettuati su gemelli monozigoti con lo stesso DNA, dimostrano che le probabilità di una vita breve o lunga, o il rischio di sviluppare un cancro, dipendono solo per il 25% dal corredo genetico. Per il 75% influiscono alimentazione, esercizio fisico, regole igieniche, prevenzione, ambiente eccetera. Addirittura, un recente e vastissimo studio pubblicato sulla rivista scientifica Genetics dimostra come la longevità dipende solo per il 10% e forse meno da fattori genetici ereditari. E più prudentemente due colleghi, Paola Sebastiani e Tom Perls della Boston University ritengono dai loro studi su famiglie con almeno un centenario, che sulla longevità i geni ereditati influiscono non più del 33 o 48%”.
Le mutazioni “cattive”
Basta dunque banalmente muoversi e mangiare saggiamente per diventare centenari in gran forma? Conta, ma non è tutto qui. Un corredo genetico con mutazioni “cattive” (come quello famosissimo di Angelina Jolie) non determina necessariamente una vita breve o un cancro o altre malattie, ma può comunque incidere. Ma molto di più contano, come si è detto, ambiente, abitudini di vita eccetera. Per governare tutta questa situazione, per restare liberi da malattie “invecchianti” la cosa più importante è sapere, passo dopo passo, ad ogni età della vita, come tutti questi fattori ambientali e genetici si riflettono nel nostro stato di salute. In modo da prendere provvedimenti – conoscendo i nostri potenziali punti deboli – non appena qualcosa accenna ad andare storto.
E qui nasce l’idea dello “score”, ovvero di un punteggio che combinando i dati rivelati dalla medicina di laboratorio e da altre tecniche diagnostiche con il nostro corredo genetico e con il nostro ambiente/stile di vita, possa in ogni momento dirci, con una grandezza misurabile, come stiamo. Ovvero quanto il nostro organismo è efficiente. Indipendentemente dall’età.
L’importanza della medicina predittiva
“A questo stiamo lavorando al Ceinge” dice il professor Salvatore. “È, come si può immaginare, un progetto estremamente complesso. Per arrivare allo score, bisogna costruire una sorta di cartella clinica evolutiva, come l’ha definita qualcuno, un protocollo. La base di partenza è un inquadramento di ogni individuo intorno ai 18-20 anni che comprenda in primo luogo l’analisi del genoma individuale, o per lo meno di una parte di esso, cioè alcune migliaia di geni implicati nell’origine delle malattie. E questa è medicina predittiva. Dopodichè, ecografie alle principali strutture dell’organismo, alcune valutazioni neurologiche e comportamentali. E soprattutto circa 50 test di medicina di laboratorio. Test che misurano la funzionalità dei principali organi e apparati dell’organismo e costituiscono la base per fare medicina preventiva. Tutti questi dati, che costituiscono un complesso profilo biologico individuale di una persona, dovrebbero essere combinati e sintetizzati in un valore numerico, lo score appunto. Un valore numerico che esprima lo stato di salute. Ripetendo periodicamente lungo tutta la vita queste indagini potremmo avere in ogni momento uno indicatore capace di dirci che cosa va bene e che cosa invece presenta imperfezioni o deviazioni da correggere, nel nostro organismo. Insomma, una prevenzione primaria e secondaria ultrapersonalizzata, basata su dati certi ricavati da esami di laboratorio o strumentali. La parte più difficile, più impegnativa di questo lavoro è proprio concatenare e combinare tutti questi dati per arrivare al famoso score. Un’impresa che sta coinvolgendo ricercatori ed esperti in diversi settori della medicina, della biologia e non solo. Ma non ne siamo lontanissimi. E a scanso di equivoci sia chiaro: non parlo di sogni impossibili ma, come ho già scritto altrove, di ottima manutenzione sempre e continua per tutta la vita, e alla fine una morte subitanea senza malattie e senza sofferenza. Che, sempre per restare con i piedi per terra, per ora è una speranza, non una certezza, sia chiaro”.
Un progetto di vastissimo respiro che potrebbe avere grandi ripercussioni non solo nel modo di praticare la medicina ma anche sulla società, sull’economia sanitaria e non, e soprattutto sulla qualità di vita di un gran numero di persone. Il professor Salvatore aggiornerà sui suoi avanzamenti in occasione della Conferenza Strategica della SIBioC – Medicina di Laboratorio (Società Italiana di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica), il 20-21 maggio a Roma. Conferenza che precederà il Congresso Mondiale EuroMedLab – Worldlab 23.
Ceinge: a Napoli un’eccellenza mondiale della ricerca
Il Ceinge nasce come Centro di ricerca e diagnostica molecolare nel 1983 con l’idea di creare una realtà in cui potessero alimentarsi reciprocamente ricerca scientifica e diagnostica nel campo della biologia molecolare e delle biotecnologie avanzate applicate alla salute. Oggi, il Ceinge–Biotecnologie avanzate, intitolato al suo fondatore e attuale presidente e direttore scientifico, professor Franco Salvatore, è un centro di ricerca e di diagnostica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II e dell’Ateneo Federico II, che opera nel campo della Biologia molecolare e delle Biotecnologie avanzate applicate alla Salute.
È un’eccellenza in Italia e all’estero per la Ricerca e la Diagnostica delle malattie genetiche (ereditarie ed acquisite), per lo studio delle malattie onco-ematologiche (prevenzione, diagnosi e terapie dei tumori solidi e non), delle malattie congenite del metabolismo e delle malattie rare. È un centro di Alta formazione per le nuove generazioni di ricercatori e scienziati e costituisce uno dei cardini fondamentali per lo sviluppo del settore “biotech” nel territorio regionale campano