Remco Evenepoel, Campione del Mondo di ciclismo, ieri ha vinto la cronometro romagnola del Giro d’Italia pedalando sotto il diluvio ad una velocità media di 51km/h per 35 chilometri. Neanche un motociclista sarebbe andato così veloce lungo quel percorso. In serata, però, si è dovuto ritirare da maglia rosa e superfavorito per la vittoria finale, soltanto perché è risultato positivo a un test rapido per il Covid-19. Immaginate se domani sera per il ritorno della semifinale di Champions League un Giroud, o un Maignan, o un Barella o un Lautaro Martinez, non potessero scendere in campo per un test positivo al Covid-19 pur stando benissimo.
In qualsiasi sport, negli appuntamenti più importanti, si fanno i salti mortali per mantenere in gara gli atleti anche se hanno acciacchi fisici importanti. In modo particolare nel ciclismo, spesso e volentieri vediamo prestazioni eroiche di corridori che pedalano per centinaia di chilometri con spalle lussate, gambe escoriate, virus intestinali e chi più ne ha più ne metta. Allora perché al Giro d’Italia quest’anno continuano ad esserci ogni giorno esclusioni eccellenti per il Covid-19? Che senso ha?
Ufficialmente si parla di “ritiro“, perché non c’è alcun regolamento che vieta ad un ciclista positivo al Covid di correre. Non c’è alcun obbligo di test, né di isolamento, né di nulla. Il Covid-19 non è più neanche una pandemia, non è un’emergenza a livello internazionale, non c’è alcun tipo di vincolo per nessuno. Ufficialmente, quindi, sarebbero le squadre partecipanti al Giro d’Italia che si sarebbero auto-imposte questo regolamento “per la loro sicurezza“, o almeno così scrivono i corrispondenti della Gazzetta dello Sport. Ma quale sarebbe questa “sicurezza” da tutelare nei confronti di un virus che non impedisce di pedalare a 51km/h per 35 chilometri sotto la pioggia? Tra l’altro vanificando i piani e i sacrifici di una intera stagione per un test rapido che ha già dimostrato molti limiti di attendibilità? E’ davvero possibile che sia questa la verità? Così assurda, così senza senso? O c’è dell’altro sotto?
Oltre alla clamorosa e delirante scelta di “escludere“, o “auto-escludere” qualora davvero fossero le squadre a scegliere (!) i corridori, il punto più importante da sottolineare a livello sanitario è proprio questo. Il Covid è un virus con cui si possono correre 35 chilometri a 51km/h (se sei campione del mondo di ciclismo, ovviamente!) e per questo virus abbiamo subito per oltre due anni le più clamorose privazioni delle libertà individuali. Certo, Evenepoel ha 23 anni ed è in perfetta salute, per le persone fragili certamente il Covid è più pericoloso. Esattamente come lo è qualsiasi altro virus.
Sempre ieri in Romagna un altro corridore decisamente più in avanti con l’età, il colombiano Rigoberto Uran, 36 anni e mezzo, è stato protagonista di una performance straordinaria: nonostante sia uno scalatore, e quindi non competitivo nelle corse a cronometro, è arrivato al traguardo 31° con un ritardo di appena 2 minuti e 5 secondi da Evenepoel, pedalando per 35 chilometri sotto la pioggia battente ad una velocità media di 48,5km/h. Anche in questo caso più veloce di uno scooter. Ebbene, anche lui ieri sera è stato costretto al ritiro per un tampone positivo al Covid-19.
Resta il mistero dell’isterica fobia Covid che rimane solo al Giro d’Italia. E l’ennesima conferma sulla reale natura di un virus che – sulle persone giovani e sane – è completamente innocuo. Peccato che chi si permetteva di farlo notare nel 2020, nel 2021 e anche nel 2022 veniva considerato come un eretico nemico della scienza, etichettato come un pericoloso “complottista”, “negazionista” o “no-vax”. E invece era l’unica voce di scienza nel più grande delirio sociale della storia.