E’ una situazione allarmante: il calore sulla superficie dei mari ha raggiunto il suo record annuale ad aprile e da quel momento in poi è restato una fonte di preoccupazione da parte degli esperti. Si tratta di una situazione che era attesa dagli studiosi, ed è la prova di come le attività umane abbiano trasformato gli oceani in una “bomba a orologeria” del riscaldamento globale. All’inizio del mese di aprile, la temperatura media superficiale degli oceani, escludendo le acque polari, ha raggiunto i 21,1°C, secondo le stime dell’osservatorio statunitense NOAA, e ha battuto il precedente record di 21°C del marzo 2016.
Quando la media, come da ciclo naturale previsto alla fine dell’inverno australe, le temperature sono rimaste al di sopra dei record stagionali per sei settimane. Attualmente, ciò “si traduce a livello regionale in una moltitudine di ondate di calore marino” che “agiscono come incendi sottomarini, che possono degradare irreversibilmente migliaia di chilometri quadrati di foreste sottomarine, ad esempio alghe, posidonie o coralli“, ha sottolineato l’oceanologo del CNRS Jean-Baptiste Sallée. “Le temperature più spettacolari sono state registrate nel Pacifico lungo l’America centrale“, ha precisato il ricercatore, ma questa situazione anomala interessa anche vaste aree del Pacifico settentrionale oltre che sulle coste atlantiche dell’Europa meridionale e dall’Africa occidentale.
Le conseguenze del riscaldamento degli oceani
“Non sorprende che gli oceani si stiano riscaldando, lo osserviamo di anno in anno a un ritmo assolutamente sbalorditivo“, ha ricordato l’esperto, perché “l’oceano, come una spugna, assorbe più di 90% dell’aumento di calore causato dalle attività umane“. Le conseguenze, hanno avvisato gli esperti, non riguardano solo la biodiversità marina. “Ci sarà una maggiore evaporazione e un alto rischio di cicloni più intensi“, ha aggiunto l’oceanologa Catherine Jeandel, “si e potrebbero avere conseguenze per le correnti oceaniche“.
Acque più calde “funzionano come una barriera che rallenta gli scambi gassosi“, ha spiegato al riguardo la geochimica: “la pompa dell’ossigeno dell’oceano funzionerà meno bene” e “lo stesso accadrà per la pompa della CO2“, riducendo l’assorbimento dei gas serra prodotti dall’uomo. Questo nuovo record era atteso anche dall’esperto Frédéric Hourdin. “Sono normali, nel contesto di una situazione più che preoccupante, attesa da tempo e che richiede una profonda trasformazione delle nostre modalità operative“.
L’arrivo di El Niño
Chiaramente, “non siamo abbastanza consapevoli che l’obiettivo è fare completamente a meno del petrolio e del carbone“, conclude lo specialista dei modelli climatici. Gli oceani hanno vissuto tre anni consecutivi di La Niña, un fenomeno ciclico-climatico che raffredda le acque superficiali.
Inoltre, il fenomeno opposto, El Niño, è previsto nel 2023 e la transizione, con la fine dell’effetto di raffreddamento di La Niña, potrebbe essersi combinata con il riscaldamento a lungo termine per produrre questo nuovo stato di cose. “Se integriamo la tendenza secolare dell’aumento della temperatura superficiale, l’anno 2023 non sembra troppo in disaccordo con gli altri anni di El Niño“, ha relativizzato il climatologo americano David Ho su Twitter, “è il termine di tendenza che dovrebbe allarmarci“.
La funzione degli oceani
Giacché gli oceani hanno assorbito il 90% del calore in eccesso dal sistema Terra che è stato prodotto dall’attività umana durante l’era industriale, gli scienziati prevedono che contengano un’energia colossale nelle sue profondità, 10 zettajoule nel 2022 o 100 volte la produzione globale di elettricità.
“Durante gli anni di El Niño, le profondità oceaniche rilasciano calore in superficie e riscaldano l’atmosfera“, ha avvertito Jean-Baptise Sallée. “Riscaldandolo, l’oceano diventa un po’ come una bomba a orologeria“, ha concluso Catherine Jeandel. E “le proiezioni suggeriscono che il riscaldamento storico degli oceani è irreversibile durante questo secolo“, aggiunge l’oceanografa del centro oceano Mercator, Karina Von Schuckmann.