La vita progredisce seguendo la bellezza. “È una evoluzione che possiamo leggere nella teoria di Darwin. La selezione sessuale, per esempio, è una delle grandi intuizioni avute dal biologo britannico. Nella specie animale è la femmina che sceglie i parametri di bellezza del maschio, è lei che sceglie con chi vuole procreare e portare avanti la specie. Ed è una scelta che segue canoni di bellezza, che sono anche parametri in grado di valutare lo stato di salute del maschio e quindi della trasmissione dei geni“.
Bellezza e benessere vanno a braccetto secondo Enrico Grassi, coordinatore nazionale del gruppo di studio Neuroscienze del comportamento della SNO (Società dei Neurologi Neurochirurghi Neuroradiologi Ospedalieri italiani) e SOC Neurologia dell’Ospedale di Prato, che parlerà proprio di bellezza della musica nella cura, al congresso SNO in programma a Firenze dal 27 al 30 settembre. Quattro giorni dedicati alle neuroscienze italiane e al loro ruolo strategico nell’ambito clinico assistenziale.
Come agisce bellezza sul cervello?
“La bellezza, a livello scientifico – risponde il neuroscienziato – attiva un circuito dopaminergico attraverso stimoli molto diversi. Per esempio, si può attivare facendo uso di cocaina; per una vincita alla lotteria, con l’ascolto di un brano musicale, dinanzi una bella persona o con l‘atto sessuale. Tutte queste esperienze, molto diverse tra loro, inducono una liberazione di dopamina, essendo stimoli che confluiscono tutti sullo stesso circuito neuronale.” In uno studio diventato molto famoso di Semir Zeki, uno dei padri della neuro estetica, professore di neurobiologia alla University College di Londra, i ricercatori facevano vedere delle opere d’arte ai soggetti sottoposti all’esperimento.
Dalle analisi si evinceva che il “bello” stimola un‘area del cervello, più precisamente la corteccia mediale orbito frontale. Le cortecce prefrontali sono la parte del cervello che probabilmente ci differenza di più dai primati e che si sono maggiormente sviluppate nell’uomo durante la nostra evoluzione. Questa gratificazione generata dinanzi la bellezza è anche uno dei motori motivazionali che ha spinto l’umanità per secoli.
Esiste quindi una bellezza oggettiva, e abbiamo un sistema nervoso centrale evoluto per riconoscere tale bellezza. La domanda classica della filosofia degli ultimi millenni: la bellezza è nel mondo o nella mente di chi guarda? È sicuramente una domanda mal posta perché il cervello si è co-evoluto ed è stato plasmato dal mondo esterno. Esiste quindi una bellezza oggettiva riconoscibile dal nostro cervello ed esiste parallelamente una evoluzione culturale che può far variare alcuni parametri estetici.
Esiste una bellezza oggettiva nella natura?
“Siamo abituati a riconoscere la bellezza nella natura. Il fiore, per esempio, ha evoluto la sua bellezza per attirare sempre meglio gli insetti e gli insetti si sono co-evoluti per riconoscere i fiori come belli. Ma la domanda che dobbiamo porci è: perché la bellezza di un fiore attrae anche gli esseri umani, di qualsiasi cultura? Esiste nella bellezza un ordine ed una struttura, e si tratta di una scoperta avvenuta ai tempi degli antichi Greci. Platone diceva che bellezza più perfetta è quella matematica. E questo ci fa pensare alla proporzione aurea, che secondi alcuni teorici, è segno della bellezza assoluta. Esiste a riguardo uno studio del gruppo di Parma che sfruttava la proporzione aurea presente nelle misure della scultura del Dorifero di Policleto. L’immagine attivava il circuito dopaminergico, che si spegneva quando si alteravano artificiosamente le proporzioni originali tra le varie parti della statua“.
E nella scienza, esiste la bellezza?
“In uno studio di Semir Zeki si è osservata la reazione dei matematici davanti delle equazioni matematiche, scoprendo che si attivano gli stessi circuiti dopaminergici innescati alla bellezza artistica e naturale. Oggi possiamo dire che i grandi fisici e matematici dell’800 e 900 hanno riconosciuto e sperimentato questa idea di bellezza addirittura come criterio di verità. Uno dei più grandi geni del 900, il fisico Paul A.M. Dirac, ha definito la bellezza come metodo matematico, sottolineando che ‘è più importante che le equazioni siano belle piuttosto che in accordo con gli esperimenti. La sua equazione (? + m) ? = 0 è ancora considerata la più bella della fisica: descrive ogni elettrone mai esistito e che mai esisterà nell’universo. Ed è una equazione sta nel palmo della mano. Da questa premessa – continua Grasso – ancora oggi possiamo ricordare un altro pensiero di Dirac, ossia che il ricercatore, nel suo sforzo di esprimere matematicamente le leggi fondamentali della natura, deve mirare soprattutto alla bellezza matematica“.
Neuro estetica e cura: lo studio della neuro estetica può dare anche riscontri a livello di diagnosi e cura?
“Esiste una bellezza nella natura che cura: stare in un ambiente naturale e sano porta ad un benessere generale della specie. In uno studio degli anni 80, pubblicato su Science, si è analizzato il decorso post operatorio tra pazienti colecistectomizzati a seconda di come erano posizionati nell’ospedale i letti di degenza. I soggetti che avevano il letto rivolto verso le finestre, con vista sul parco circostante, avevano un minor tempo di degenza e un minor utilizzo di antidolorifici rispetto ai pazienti il cui letto era rivolto verso il muro a parità di intervento chirurgico. La musica, parallelamente, ha un impiego importante in tutte le malattie neurodegenerative. Il nostro sistema centrale ha una predisposizione naturale verso il linguaggio musicale. È profondamente legato alla sfera delle emozioni – ricorda il neuroscienziato – e può bypassare il sistema cognitivo. La musica ha anche un legame con il movimento: l’ascolto della musica va direttamente sulle strutture che fanno un ruolo centrale per il movimento, anche nei pazienti con difficoltà motorie. Esistono studi che hanno visto una riattivazione di alcuni circuiti neurali grazie alla musica, usata come passe-partout per riattivare il movimento“.
Nel tentativo di omologare la bellezza, la realtà digitale ci mette a rischio?
“Secondo me esiste un nocciolo duro per quanto riguarda la bellezza, che è una bellezza oggettiva nell’arte, nella musica, nel cibo, nella natura che il nostro sistema nervoso centrale è abituato a riconoscere. Esiste anche un’omologazione dei paradigmi estetici, che fa parte della globalizzazione. Siamo sottoposti a stimoli sempre più uniformi. Questi standard estetici che si vanno ad uniformare, sia nel mondo orientale che occidentale, fanno tendere verso una bellezza sempre più omogenea. Ma bisogna ricordare che la bellezza del volto è anche un criterio di salute del partner. Questo ‘appiattimento‘ non deve far dimenticare però il concetto di salute e benessere, che sono anche gli stimoli nella ricerca di un partner con il quale procreare. Una ricerca compulsiva di una bellezza omologata che degenera in un abuso del concetto stesso di bellezza, genera anche una idea di insano, che allontana dalla stessa idea di bellezza. Al fine di spiegare al meglio questo concetto, vorrei ricordare un esperimento fatto da Fancis Dalton. Egli prese tante foto e si rese conto che fondendole insieme, la faccia composita risultava più attenente delle singole facce. Questo esperimento si è prestato a più interpretazioni. Oggi vorrei dire che una maggior combinazione genetica con incrocio di popoli e culture diverse significa maggior salute, e quindi anche una maggior bellezza – conclude il neuroscienziato – un ammonimento che ci dovrebbe guidare anche su politiche socio-ambientali più illuminate“.